Enfisema polmonare derivante dall’attività di fuochista (Corte Appello Catanzaro, sez. lav., 21/07/2022, n.825).

Enfisema polmonare da malattia professionale e responsabilità del datore di lavoro per mancanza di presidi.

Il lavoratore, deducendo di avere lavorato come fuochista dal 20 dicembre 1976 al 22 aprile 2002, ha convenuto in giudizio il datore di lavoro chiedendo la rifusione dei danni, ai sensi dell’art. 2087 c.c., derivanti dall’avere contratto un enfisema bolloso, con funzionalità del polmone destro ridotta al 25%, con diagnosi del 13.9.2007, in conseguenza dell’esposizione ad agenti nocivi quali acidi, fumi e polveri provenienti dal processo produttivo relativo alle mansioni svolte, senza adozione da parte della società dei necessari presidi.

Nello specifico, agisce per la liquidazione del danno differenziale nella misura di euro 175 mila complessivi per danno biologico, morale, esistenziale e professionale, sul presupposto dell’avvenuta liquidazione, da parte dell’Inail della rendita rapportata al 30% del danno biologico per la malattia professionale “Pneumopatia bollosa e BPCO di grado medio con lieve ipossiemia”.

Il Tribunale rigettava il ricorso alla luce delle seguenti argomentazioni: “Il lavoratore potrà richiedere al datore di lavoro il risarcimento del danno “differenziale”, allegando in fatto circostanze che possano integrare gli estremi di un reato perseguibile d’ufficio, ed il giudice, accertata in via incidentale autonoma l’illecito di rilievo penale, potrà liquidare la somma dovuta dal datore, detraendo dal complessivo valore monetario del danno civilistico, calcolato secondo i criteri comuni, quanto indennizzabile dall’INAIL, con una operazione di scomputo che deve essere effettuata ex officio ed anche se l’Istituto non abbia in concreto provveduto all’indennizzo”.

Ed ancora, sempre secondo il primo Giudice, pacifica la responsabilità del datore di lavoro in ordine alla insorgenza della patologia “enfisema polmonare bolloso”, tuttavia al lavoratore nulla spetta in quanto “l’importo del danno differenziale sulla base delle tabelle per il calcolo del danno biologico attualmente in uso in ambito civilistico e sulla base delle previsioni del D.Lgs. n. 38 del 2000 (criteri Inail) tenuto conto di una percentuale di danno del 25% e dell’età del ricorrente nel mese di maggio 2007 è di Euro 5.622,09 come rendita vitalizia annua ed e’, pertanto, inferiore a quanto determinato dall’Inail che lo calcola su una percentuale del 30%; la capitalizzazione della rendita, eventualmente costituita dall’Inail, è superiore al calcolo della capitalizzazione della rendita effettuata dal sottoscritto tenuto conto di una percentuale di danno del 25% (prospetto sopra esposto) e, pertanto, nulla è dovuto al ricorrente”.

In altri termini, in ragione del riconoscimento da parte dell’INAIL di una più elevata percentuale di danno biologico, non residua in favore del lavoratore alcuna voce ulteriore di danno (differenziale), risultando la copertura assicurativa maggiore del danno astrattamente risarcibile.

Tali conclusioni sono corrette. La Corte di Appello osserva che il ricorrente non ha dedotto circostanze concrete che consentano di apprezzare la sussistenza di un danno alla professionalità, non essendo evidentemente sufficiente il semplice mutamento delle mansioni per concludere nel senso che le mansioni del lavoratore siano oggi qualitativamente meno rilevanti rispetto a quelle svolte fino al 2011.

Non vi è stata alcuna riduzione della retribuzione, né il ricorrente ha dedotto che, continuando a svolgere le pregresse mansioni, avrebbe certamente conseguito, nel prosieguo dell’attività lavorativa, una retribuzione maggiore di quella che le attuali mansioni gli garantiscono.

Il ricorso viene respinto.

Avv. Emanuela Foligno

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