Stress post traumatico provocato dall’insegnante (Cass. pen., sez. VI, 17 maggio 2023, n. 21111).

Allievi manifestano stress post traumatico causato dai maltrattamenti dell’insegnante.

La maestra imputata del reato di maltrattamenti, impugna la sentenza della Corte di Appello di Torino del 14 aprile 2022, nella parte in cui confermava la condanna per il delitto di maltrattamenti a lei addebitato per aver tenuto abitualmente condotte violente, minacciose ed umilianti nei confronti di diversi bambini, nella sua qualità di insegnante presso una scuola dell’infanzia. La Corte di Appello, inoltre, confermava la condanna generica al risarcimento dei danni in favore dei genitori di alcune delle vittime, costituitisi nel processo quali parti civili.

La decisione viene impugnata in Cassazione ove l’insegnante censura il dolo e la contraddittorietà della sentenza.

Secondo la tesi della donna i Giudici di merito avrebbero valorizzato esclusivamente il numero di episodi e, sul piano della prova, soltanto le videoregistrazioni, tuttavia insufficienti, poiché non affiancate dall’esame delle persone offese, dei loro genitori e/o delle altre maestre. Peraltro, quella prova sarebbe stata pure travisata, emergendo da essa un comportamento frequentemente accudente ed affettuoso dell’imputata verso i bambini: talché l’affermazione, contenuta in sentenza, per cui questi ultimi hanno reputato quei comportamenti come “naturale conseguenza della frequentazione dell’asilo”, si rivelerebbe una mera opinione indimostrata. La sentenza, sempre secondo la tesi della maestra, giudica irrilevanti le manifestazioni di stima ed affetto dei genitori verso l’imputata, senza tuttavia motivare tale giudizio; nonché trascura, altresì, gli esiti della consulenza difensiva sulla personalità dell’imputata.

Le censure vengono considerate infondate e con la decisione a commento la Suprema Corte esprime un importante principio di diritto in tema di maltrattamenti, ampliando la portata della precedente pronunzia n. 809/2022:

il delitto di maltrattamenti non è un reato di evento, ma di condotta. Perché esso si configuri è sufficiente che il comportamento dell’agente sia idoneo sotto il profilo oggettivo a determinare nella vittima l’anzidetta condizione di sofferenza psico-fisica non semplicemente transitoria, ma non anche che tale stato emotivo concretamente si realizzi e si manifesti. Semmai così fosse, infatti, si finirebbe per conferire alla fattispecie una connotazione relativistica, in ragione della diversa sensibilità della vittima o del suo grado di resistenza psichica individuale: dato, quest’ultimo, tuttavia legato ad una serie di variabili non predeterminabili ed eterogenee (non soltanto, cioè, fisiche e psicologiche, ma anche sociali e culturali), che finirebbe per assegnare o meno penale rilevanza a condotte oggettivamente identiche, in tal modo inficiando la tassatività della disposizione incriminatrice, peraltro mediante l’introduzione di un elemento da essa non richiesto”.

Riguardo, nello specifico, a maltrattamenti rivolti a bambini in tenera età “costituisce espressione di una medesima lettura normativa, muovendo anch’essa dalla necessità e sufficienza di una condotta oggettivamente maltrattante, la giurisprudenza formatasi in tema di c.d. “violenza assistita”, secondo cui il reato si configura nei confronti dell’infante che assista alle condotte maltrattanti poste in essere in danno di altri componenti della famiglia, qualora esse siano idonee ad incidere sul suo equilibrio psico-fisico”.

Ne consegue, detto in altri termini, che il reato si configura anche nel caso in cui la vittima, in ragione del suo insufficiente grado di maturità psichica, non le percepisca come lesive della sua personalità e, di conseguenza, non manifesti reazioni sintomatiche da stress post-traumatico.

Avv. Emanuela Foligno

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