Vascolarizzazione miocardica imperita e decesso del paziente (Cassazione penale, sez. IV, dep. 20/12/2022, n.48220).

Atteggiamento attendista in caso di vascolarizzazione miocardica e successivo decesso del paziente.

La Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado,  assolveva i Medici dal reato di omicidio colposo del paziente.

Il paziente veniva sottoposto ad un intervento cardiochirurgico a cuore aperto con impianto di due bypass; successivamente veniva dimesso e trasferito presso altra Struttura per la riabilitazione; il 21 agosto veniva rilevata la presenza di una piccola falda di versamento intrapericardico, peggiorato nei giorni successivi veniva trasferito presso il reparto di cardiochirurgia, ove dopo 4 giorni,  sottoposto ad accertamenti strumentali (TAC e angioTC), il cardiochirurgo decideva di non intervenire, ma di monitorare il paziente il quale, però, dopo un primo periodo di condizioni stabili, si aggravava fino al decesso.

Il Tribunale, sulla base delle conclusioni rassegnate dai Consulenti nominati dal PM, dichiarava la responsabilità dei Medici, per avere nell’esecuzione dell’intervento chirurgico, proceduto alla vascolarizzazione miocardica di due rami secondari e non della discendente anteriore, cioè dell’arteria più importante dal punto di vista funzionale, in assenza di motivi ostativi; condannava inoltre il Cardiochirurgo per avere optato per una scelta attendista, mentre a fronte dell’incremento dell’emopericardio si imponeva un trattamento di pericardiocentesi o di revisione chirurgica.

La Corte di Appello, disposta una CTU Medico-legale, riformava la decisione di primo grado, assolvendo gli imputati per insussistenza del fatto. I Giudici d’appello ritenevano insussistenti i profili di colpa addebitati ai due Medici poichè non dimostrato, sotto il profilo controfattuale, che una diversa condotta avrebbe garantito, in termini di apprezzabile probabilità, la sopravvivenza del paziente, avendo i periti concluso nel senso che il decesso del paziente era avvenuto “per il sommarsi di numerose patologie“.

Avverso la sentenza propongono distinti ricorsi per cassazione le parti civili.

Deducono discostamento dagli esiti dell’esame autoptico, ove prevalente importanza assumeva l’edema polmonare acuto e l’emopericardio, per sostenere, come riferito dai periti, che il decesso sarebbe avvenuto per “il sommarsi delle numerose patologie: scompenso cardiaco, grave insufficienza renale, stato anemico, stato settico, che culminarono come arresto cardiocircolatorio”; che, inoltre, il paziente aveva delle condizioni pregresse di salute ad elevato rischio cardiovascolare, il cui apparato era, comunque, gravemente compromesso. Secondo i ricorrenti, la causa di morte quale “tamponamento cardiaco ovvero emopericardio saccato”, esclusa dai periti in fase d’appello, è confermata da tutta la documentazione medica in atti.

Deducono, inoltre, quanto alla condotta dei chirurghi che, diversamente da quanto sostenuto in sentenza, la mancata precisazione di eventuali controindicazioni assolute rispetto alla scelta di limitare la rivascolarizzazione miocardica a vasi secondari, costituisce un momento di criticità operativo, sostanziale e non formale, posto che, ipotizzando come realizzata una diversa e più efficace rivascolarizzazione miocardica, i consulenti hanno affermato che sarebbero sussistite maggiori possibilità di evitare il decesso del paziente o prolungarne la sopravvivenza.

Le censure non vengono accolte in quanto non finalizzate a evidenziare vizi motivazionali, bensì a censurare la ricostruzione dei fatti e la valutazione delle prove.

I ricorrenti, infatti, evidenziano gli Ermellini, perseguono una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali.

Ad ogni modo, viene evidenziato che le motivazioni della sentenza impugnata appaiono congrue e non manifestamente illogiche, laddove hanno adeguatamente argomentato e confutato le considerazioni contrastanti dei CTP, richiamandosi motivatamente alle conclusioni dei Periti nominati dal P.M.

I ricorrenti affermano che, sulla base dell’esame autoptico, la morte del paziente era avvenuta in conseguenza dell’edema polmonare acuto e dell’emopericardio, per cui non potrebbe darsi credito all’affermazione dei Periti secondo cui il decesso sarebbe avvenuto per “il sommarsi delle numerose patologie: scompenso cardiaco, grave insufficienza renale, stato anemico, stato settico, che culminarono come arresto cardiocircolatorio”, di cui non vi sarebbe alcun riscontro nella documentazione sanitaria acquisita.

Tale censura sollecita una nuova rivalutazione del compendio probatorio, non ammissibile in Cassazione. I Giudici di merito, sulla scorta del giudizio controfattuale, hanno ritenuto non dimostrato che una diversa condotta dei Medici avrebbe garantito, in termini di apprezzabile probabilità, la sopravvivenza, o una maggiore sopravvivenza, del paziente.

I ricorsi vengono rigettati.

Avv. Emanuela Foligno

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