Ai fini della corretta identificazione del termine di decadenza va distinta la conoscenza della patologia dalla conoscenza del nesso di causa (Cassazione Civile, sez. VI, 21/01/2021, sentenza n. 1265 del 21 gennaio 2021)

La Corte d’Appello di Lecce rigettava l’appello avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto la domanda intesa ad ottenere il pagamento dell’indennizzo ex L. n. 210 del 1992 in seguito alla somministrazione di vaccini. La Corte territoriale, a fronte di 2 CTU, ha giudicato tardiva la domanda amministrativa, proposta nel 2004, avuto riguardo al momento di conoscenza della epatopatia da vaccinazione, della sua irreversibilità e del nesso causale con la somministrazione del siero che doveva collocarsi tra il 1986 ed il 1987.

Il danneggiato ricorre in cassazione e il Ministero della Salute resiste con controricorso.

Il ricorrente lamenta erronea e falsa applicazione della L. n. 210 del 1992, art. 3, comma 1, come modificato dalla L. n. 238 del 1997, art. 1, comma 9, per avere la Corte territoriale ritenuto tardiva la domanda amministrativa del 19.4.2004 senza considerare che, in assenza di qualsivoglia certificazione sanitaria in merito alle vaccinazioni praticate, la piena contezza della correlazione tra la patologia e i vaccini si era avuta solo con il certificato rilasciato il 5.4.2004.

Gli Ermellini osservano che L. n. 210 del 1992, art. 3, prevede: “I soggetti interessati ad ottenere l’indennizzo di cui all’art. 1, comma 1, presentano domanda al Ministro della Sanità entro il termine perentorio di tre anni nel caso di vaccinazioni o di dieci anni nei casi di infezioni da HIV. I termini decorrono dal momento in cui, sulla base della documentazione di cui ai commi 2 e 3, l’avente diritto risulti aver avuto conoscenza del danno(…).”

“Ai fini della corretta identificazione del termine di decadenza in questione, va distinta la conoscenza della patologia dalla conoscenza del nesso di causa; dal momento che allo scopo non basta la prima ed occorre la conoscenza della correlazione tra l’epatite e l’intervento terapeutico praticato, da intendersi quale elemento costitutivo del diritto al beneficio indennitario (ordinanza n. 25265 del 2015). Ed invero “il danno” alla cui conoscenza la legge ricollega il termine non è la malattia in sè e per sè; ma è l’evento indennizzato dalla legge completo quindi del fattore causale”.

La conoscenza di cui si discorre deve comprendere la natura irreversibile del danno.

La cronicizzazione della epatopatia da vaccinazione non costituisce di per sé il requisito esclusivo per accedere ai benefici della legge di sostegno, ma con la malattia successiva alla vaccinazione deve coesistere la documentata consapevolezza, per l’assistito, dell’esistenza di un danno irreversibile.

Alla conoscenza effettiva è equiparata la ragionevole conoscibilità del danno e si concretizza quando il soggetto, secondo un parametro di ordinaria diligenza, è in grado di individuare la causa della patologia da cui è affetto e rapportare quindi la propria malattia ad uno degli eventi dannosi previsti dalla L. n. 210 del 1992.

Al riguardo è già stato affermato che la presentazione della domanda di indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992 attesta l’esistenza, in capo all’interessato, di una sufficiente ed adeguata percezione della malattia e, pertanto, segna il limite temporale ultimo di decorrenza del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno a norma dell’art. 2935 c.c. e dell’art. 2947 c.c., comma 1.

La sentenza d’appello impugnata non ha violato tali principi.

Difatti i Giudici di secondo grado, hanno confermato la decisione di prime cure che escludeva a monte, la prova di un nesso di causalità della malattia con le vaccinazioni.

All’esito di nuova CTU i medesimi Giudici hanno osservato come il ricorrente avesse avuto conoscenza della epatite cronica attiva HBSAG, del danno epatico e del nesso causale con le vaccinazioni, alle quali era stato sottoposto negli anni precedenti, tra il 1986 ed il 1987.

A sostegno della decisione la Corte territoriale ha posto la relazione dello Specialista curante del danneggiato ove risulta: “che il paziente era giunto alla sua osservazione nel 1986-1987 per una epatite cronica, che nella storia da lui riferita aveva richiamato le diverse vaccinazioni inerenti alla sua professione e che loro medici ritennero che la fonte di contagio poteva essere individuata nelle vaccinazioni cui il paziente era stato sottoposto, conclusione sulla quale avevano concordato anche i colleghi di malattie infettive che avevano analizzato il caso, avallando la decisione di considerare la epatopatia quale danno conseguente da vaccini con una elevatissima probabilità”.

L’apprezzamento di merito di tale prova è inammissibile in sede di legittimità.

Inoltre, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Per tali ragioni la Suprema Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

Avv. Emanuela Foligno

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