Il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ma non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo: negata l’equa riparazione sotto una certa soglia

La vicenda

Con ricorso depositato presso la Corte d’appello di Messina, gli istanti domandarono la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze all’equa riparazione per l’irragionevole durata di un giudizio amministrativo, avviato l’8 aprile 1991 dalla loro defunta madre davanti al T.A.R. Sicilia – Sezione di Catania, e definito con decreto di perenzione il 22 luglio 2014.

La Corte d’appello di Messina, in sede di opposizione, ex art. 5 ter, L. n. 89 del 2001, rigettò la domanda di equa riparazione, tenendo innanzitutto conto della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 sexies, lett. d, (il quale contempla le perenzione del ricorso al fine di presumere insussistente il pregiudizio da irragionevole durata) ed evidenziando come non fosse stata “fornita alcuna prova di pregiudizio da irragionevole durata del processo, in presenza dell’inattività delle parti”, che per ben 24 anni, avevano omesso di richiedere la fissazione dell’udienza, a fronte di un ricorso presentato nel 1991.

La Corte di appello rilevò, inoltre, che nel giudizio presupposto la domanda originaria aveva ad oggetto la somma di lire 1.398.631, importo da suddividere tra gli eredi, e dunque pari a “poco più di 200,00 euro a testa” per ciascuna delle ricorrenti.

La sentenza è stata confermata dai giudici della Terza Sezione Penale della Cassazione (sentenza n. 26497/2019).

A ben vedere, la corte siciliana aveva tratto il proprio convincimento in ordine alla insussistenza del danno per disinteresse delle parti a coltivare il processo non soltanto dalla dichiarazione di perenzione del giudizio, ma anche dal comportamento processuale dell’originaria istante, giungendo così a negare l’esistenza di un danno non patrimoniale derivante dalla violazione del termine ragionevole di durata del processo svoltosi davanti al TAR Catania.

Si è già detto che “in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ma non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: sicché, il giudice, una volta accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo secondo le norme della citata L. n. 89 del 2001, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale a meno che non ricorrano, nel caso concreto, proprio come nel caso in esame, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dall’interessato” (Cass. Sez. 1, 26/09/2008, n. 24269; Cass. Sez. 1, 16/12/2010, n. 25519).

La soglia minima di gravità

Ed invero, secondo l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, “la soglia minima di gravità, al di sotto della quale il danno non è indennizzabile, va apprezzata nel duplice profilo della violazione e delle conseguenze, sicché dall’ambito di tutela della L. 24 marzo 2001, n. 89, restano escluse sia le violazioni minime del termine di durata ragionevole, di per sé non significative, sia quelle di maggior estensione temporale, ma riferibili a giudizi presupposti di carattere bagatellare, in cui esigua è la posta in gioco e trascurabili i rischi sostanziali e processuali connessi” (Cass. Sez. 2, 14/01/2014, n. 633).

Condivisibile, dunque, il giudizio della corte d’appello siciliana che, mettendo in risalto l’esiguità del valore monetario del giudizio presupposto – lire 1.398.631 all’epoca della domanda -, aveva escluso la tutela indennitaria di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, tanto in ragione dell’inerzia dell’attrice, quanto in base ad un apprezzamento concreto della fattispecie.

La redazione giuridica

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