La neonata veniva dimessa con la diagnosi di cardiopatia congenita con sospetta cromosomopatia, ma dopo alcuni anni il genetista esclude la causa genetica delle malformazioni.
La decisione a commento, al di là della vicenda clinica, si presenta interessante per la continuità che viene data alla decorrenza del termine prescrizionale.
Il caso
Il 23/6/1990 nasceva, con parto cesareo, la piccola con gravissimi ritardi neuromotori e cognitivi e veniva dimessa con la diagnosi di cardiopatia congenita con sospetta cromosomopatia.
Nel 2007 i genitori agivano in giudizio nei confronti della struttura sanitaria, avendo il genetista cui si erano rivolti escluso che le patologie da cui era affetta la piccola fossero dovute ad origini genetiche. I genitori assumevano che i danni permanenti riportati dalla bambina fossero dovuti alla negligenza della struttura sanitaria. Evidenziavano un atteggiamento colpevolmente attendista assunto dall’ospedale, che non procedeva ad un intervento cesareo d’urgenza nonostante il ricovero e l’esistenza di comportamenti anomali dei medici che avevano seguito la partoriente (ipotizzando anche che i medici fossero stati distratti dai mondiali di calcio in corso, e che per questo avevano lasciato la gestante sedata per molte ore, finché le condizioni di mobilità del feto si erano irreversibilmente deteriorate).
Il tribunale dichiarava che il diritto degli attori al risarcimento del danno, di durata decennale, con decorrenza dal giorno del parto, si era prescritto. La Corte d’Appello di Catanzaro confermava il primo grado.
Il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione degli articoli 2947 e 2935 c.c.
I genitori della bambina in Cassazione censurano la ritenuta prescrizione al risarcimento perché in violazione del principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che, fin dal 2008, fissa la iniziale decorrenza del termine prescrizionale del diritto al risarcimento del danno solo dal momento in cui la malattia viene percepita o può essere percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo usando l’ordinaria diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche.
Al momento delle dimissioni dall’ospedale, subito dopo la nascita della piccola, l’Ospedale nel referto di dimissioni certificava che le patologie da cui era afflitta la bambina fossero di origine genetica. Per circa 6 anni, e cioè fino al 1998, la bambina veniva sottoposta a numerose visite presso diversi specialisti e centri specializzati in genetica i quali, fino al 1998 appunto, confermavano che si trattava di una sindrome genetica. Per questa ragione i genitori non avevano avuto modo, non avendo alcuna specifica competenza, di individuare che viceversa ci fosse un rapporto causale tra il comportamento poco diligente tenuto dai medici il danno permanente riportato dalla figlia. Finché – soltanto nell’anno 2001 – l’ennesimo specialista di genetica al quale si erano rivolti escludeva la causa genetica delle malformazioni. Fu allora che venne raggiunta la consapevolezza di una negligenza della struttura sanitaria al momento della nascita della bimba cui potevano essere riconducibili le sue menomazioni.
La censura è corretta.
Il dies a quo
La Cassazione ribadisce che il dies a quo della prescrizione del diritto al risarcimento del danno si identifica non già con quello della verificazione materiale dell’evento lesivo, bensì con quello (che può non coincidere col primo ed anche collocarsi a diversi anni di distanza da esso, a seconda delle circostanze del caso di specie) in cui il pregiudizio, alla stregua della diligenza esigibile all’uomo medio e del livello di conoscenze scientifiche proprie di un determinato contesto storico, possa essere astrattamente ricondotto alla condotta colposa o dolosa del sanitario.
In tal senso viene richiamata Cass. n. 29859 del 2023, cui la Corte dà seguito. Pertanto, la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito inizia a decorrere non dal momento della verificazione materiale dell’evento di danno, bensì dal momento della conoscibilità del danno inteso nella sua dimensione giuridica. Un danno ingiusto, cioè, che non soltanto sia “oggettivamente percepibile” all’esterno (elemento della conoscibilità del danno), ma che – attraverso parametri oggettivi quali la diligenza esigibile all’uomo medio e il livello di conoscenze scientifiche proprie di un determinato contesto storico – possa essere astrattamente ricondotto alla condotta colposa/dolosa di un terzo (requisito della rapportabilità causale).
Il principio così delineato (ossia, della conoscibilità del danno nella sua dimensione giuridica) trova applicazione, ai fini dell’individuazione dell’exordium praescriptionis, in tutti i casi di esercizio del diritto al risarcimento del danno. Con la precisazione, tuttavia, che il carattere mobile dell’iniziale dies a quo e il suo “spostamento in avanti” si giustificherà nelle ipotesi in cui sia dato scindere, sotto il profilo temporale, il momento dell’accadimento materiale dell’evento di danno e il diverso momento della “esteriorizzazione del danno” nei termini sopra precisati.
Ragionando in tal senso è evidente che la ratio dell’individuazione di un “dies a quo mobile” è quella di evitare che il termine di prescrizione inizi a decorrere in assenza della percezione di aver subito un danno ingiusto. (Con incipit la S.C. sottolinea che quanto sopra cristallizzato è ciò che avviene, a titolo meramente esemplificativo, nei casi di responsabilità per danni cd. lungo-latenti, come quello di danni da emotrasfusioni infette).
I Giudici calabresi, ritenendo che il momento iniziale di decorrenza del termine prescrizionale coincidesse con la diagnosi della cardiopatia emessa a soli dieci giorni dalla nascita della bambina con immediata evidenziazione delle ricadute anche neurologiche di essa, non hanno fatto buon governo dei principi sopra enunciati.
La Corte di Appello, in buona sostanza, ha confuso il danno (i problemi fisici dei quali è risultata affetta la bambina alla nascita) con l’individuazione della causa di esso, e con la messa a disposizione dei genitori delle informazioni necessarie a consentire loro di porre in correlazione causale gli eventi, individuando la possibile causa del danno.
L’errore di diritto compiuto dai Giudici di Appello calabresi si palesa nel passaggio della motivazione, in cui si dice: “Dunque la semplice mancanza di conoscenza della rilevanza concausale della colpa del medico – in presenza della consapevolezza del danno e della colpa – non può rilevare per escludere il decorso del termine prescrizionale, costituendo impedimento di fatto irrilevante”.
Quindi, come detto, erroneamente è stato ritenuto che l’accertamento del nesso causale coincidesse con l’accertamento del danno, da una parte, e della colpa, dall’altro, ed ha collocato l’exordium praescriptionis nel momento stesso della nascita della bimba, omettendo del tutto di compiere in conformità dei principi sopra enunciati un corretto accertamento del momento in cui si poteva ritenere che i genitori della piccola, del tutto privi di conoscenze specialistiche, fossero in grado di mettere in correlazione le condizioni della bambina con le loro possibili cause.
Invece, ai fini dell’inizio del decorso del termine prescrizionale, è necessario proprio che la parte sia in grado di ricostruire la possibile serie causale, ovvero di mettere in relazione il danno verificatosi, alla stregua della diligenza esigibile all’uomo medio e del livello di conoscenze scientifiche proprie di un determinato contesto storico, con la sua possibile causa, individuata nella condotta colposa o dolosa del sanitario.
I genitori della bambina si avvedevano, da subito, di alcuni comportamenti anomali dei medici. Per contro, l’indicazione fornita dagli stessi sanitari ai genitori fu quella di una malformazione genetica, come tale non da porre in rapportabilità causale con l’intervento umano. Risulta inoltre che essi sottoposero la piccola a controlli regolari, cercando di approfondire, oltre che la condizioni di salute della bambina, anche le cause dei suoi problemi, ricevendo numerose volte nel corso degli anni la conferma della origine genetica di essi, esclusa soltanto da un accertamento eseguito nel 2001, che per la prima volta, escludendo una origine genetica delle patologie, ipotizzava che vi fosse stata, come causa del danno, una sofferenza perinatale.
La censura viene accolta e la sentenza cassata con rinvio alla Corte di Reggio Calabria in diversa composizione.
Avv. Emanuela Foligno