Sepsi e addome acuto non riconosciute dal Medico di base che dapprima si limita a una errata diagnosi telefonica e poi ipotizza una probabile appendicite (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 29 aprile 2025, n. 11287).
La dinamica dei fatti e la errata diagnosi telefonica
La paziente accusava forti dolori all’addome e ai reni. Il marito contattava telefonicamente il servizio di Guardia medica senza, peraltro, ottenere – nonostante specifiche richieste, avanzate anche nel corso dei successivi contatti telefonici – una visita domiciliare. Il Medico di base, difatti, si limitò ad una (peraltro errata) diagnosi telefonica di influenza, con relativa prescrizione farmacologica.
Nei giorni successivi, il Medico di base, a seguito delle insistenze del marito della donna, eseguiva il mattino del 16 marzo, una visita domiciliare della paziente, diagnosticandole (erroneamente) una malattia esantematica, oltre ad una patologia di addome acuto per probabile appendicite – predisponendone, conseguentemente, un immediato ricovero ospedaliero.
Seguiva immediatamente il ricovero presso l’ospedale Regina Apostolorum, i cui sanitari, nonostante una corretta diagnosi di sepsi e addome acuto, da un canto, non provvidero tempestivamente (secondo l’assunto attoreo) ad un intervento terapeutico e chirurgico. Quindi omisero di predisporre l’immediato trasferimento della paziente in altra struttura sanitaria, più opportunamente attrezzata.
Solo nel tardo pomeriggio la donna veniva trasferita preso il Policlinico Umberto I di Roma, dove, nonostante in intervento di rimozione di pus endo-addominale, la paziente decedeva.
La vicenda giudiziaria
Il giudizio di primo grado dichiarava la cessazione della materia del contendere tra gli attori e la struttura sanitaria Regina Apostolorum, e con la contestuale condanna della USL Roma H al pagamento, in favore degli attori, della complessiva somma di 482 mila euro a titolo di risarcimento del danno parentale (ripartita in 164 mila euro in favore di ciascun familiare), previa detrazione dell’importo corrisposto dalla Regina Apostolorum in esecuzione della predetta transazione.
La Corte di appello di Roma, successivamente, modificava gli importi risarcitori liquidati dal tribunale, applicando le tabelle in uso presso il distretto di Roma e riconosceva ai danneggiati, rispettivamente, le somme di 313 mila euro al coniuge e di 304 mila euro a ciascuno dei figli minori.
Riguardo gli effetti della intervenuta transazione, i Giudici di secondo grado hanno ritenuto che la decisione del Tribunale costituisse, in parte qua, una pronuncia di merito anche nei confronti del nosocomio transigente, e che l’estensione degli effetti della detta transazione disposta in prime cure all’appellata ASL, pur non avendovi quest’ultima aderito, fosse viziata da ultrapetizione, con conseguente revoca della relativa statuizione.
Il ricorso per cassazione
La ASL impugna la decisione in Corte di Cassazione e gli eredi della vittima propongono ricorso incidentale.
Nel ricorso principale, sotto plurimi aspetti viene lamentata la violazione di legge.
Nel ricorso incidentale si censura la sentenza impugnata per non aver fatto corretta applicazione dell’art. 2059 c.c. e dei consolidati orientamenti di legittimità in tema di danno morale terminale e di danno biologico terminale.
Sul ricorso principale le censure sono fondate. Dalla decisione di primo grado emerge l’impredicabilità di qualsivoglia statuizione di merito in ordine alla intercorsa transazione tra gli appellanti e l’ospedale, essendosi il Giudice limitato a rilevare l’esistenza di una causa impeditiva al riconoscimento, in favore dei familiari della signora defunta, dell’intera somma liquidata a titolo risarcitorio, pena un (evidente quanto illegittimo) indebito arricchimento che si sarebbe realizzato in capo agli attori.
Alla somma liquidata in sentenza, espressamente rappresentativa del riconoscimento di un integrale risarcimento del danno lamentato, andava, pertanto, sottratta quella già corrisposta dalla Casa di cura, la cui indeterminatezza nel quantum avrebbe dovuto costituire, al più, questione da risolvere in sede esecutiva.
Per tale ragione la Corte di appello ha sbagliato nell’attribuire alla statuizione di primo grado un contenuto funzionale di cui, per converso, essa appare del tutto priva, e cioè quello dell’effetto estensivo della transazione asseritamente rilevato e disposto nella contumacia (e dunque nell’irredimibile silenzio processuale) della Casa di cura transigente.
Oltre a ciò, la Corte di secondo grado ha affermato, apertis verbis, la necessità di tenere presente il pagamento degli acconti, per poi concludere, erroneamente, nel senso della esclusione della detrazione di quanto già corrisposto agli appellanti in sede di transazione, contrariamente a quanto correttamente statuito in prime cure, in violazione del principio della integralità speculare del risarcimento del danno non patrimoniale.
Il ricorso incidentale dei familiari della vittima
Il ricorso è manifestamente infondato perché la Corte di appello, basandosi sulla CTU medico-legale, ha considerato la oggettiva condizione della sfortunata paziente sub specie della sua irredimibile inconsapevolezza dell’approssimarsi della fine. Sotto questo profilo le doglianze indurrebbero una nuova valutazione dei fatti inammissibile.
La Suprema Corte enuncia il principio di diritto che segue: “Il principio della integralità del risarcimento del danno non patrimoniale deve essere inteso, nei rapporti tra danneggiante e danneggiato, e nella relativa, reciproca dimensione speculare, oltre che nel senso che al danneggiato va riconosciuto tutto quanto è sua diritto conseguire, anche in quello della illegittimità di un ingiustificato arricchimento conseguente ad una pronuncia giurisdizionale che gli riconosca una somma maggiore di quella a lui dovuta (fattispecie in tema di transazione non contestata nell’an dal danneggiato, e da questi stipulata con altro coobbligato solidale del danneggiante, illegittimamente condannato a risarcire l’intera somma riconosciuta al danneggiato stesso, senza che il giudice di merito abbia operato la pur dovuta detrazione di quanto già riscosso da quest’ultimo per effetto della convenzione transattiva, a prescindere da un eccepito effetto espansivo della transazione medesima da parte del coobbligato)”.
Conclusivamente, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso principale, rigetta quello incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia il procedimento alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.
Avv. Emanuela Foligno
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