Violenza privata ed estorsione, quando i reati non si assorbono

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La sentenza affronta un caso complesso in cui si intrecciano aggressioni, frode assicurativa, violenza privata ed estorsione (Corte di Cassazione, II penale, sentenza 30 aprile 2025, n. 16395).

La dinamica dei fatti e la violenza privata

In un primo momento, D.V. subì un’aggressione da parte di T.A. e Gi.F., che gli causarono lesioni fisiche. Successivamente, fu costretto dagli stessi a non denunciare l’accaduto e a riferire falsamente all’autorità sanitaria di essere rimasto vittima di un incidente stradale. A seguito di ciò, fu simulato un inesistente sinistro, al fine di ottenere un risarcimento assicurativo per le lesioni in realtà provocate dalle percosse. D.V., inoltre, fu ulteriormente costretto – attraverso minacce sia implicite che esplicite – a partecipare attivamente alla frode, a rinunciare alla volontà successiva di interrompere la pratica di risarcimento e a tollerare che T.F. e gli altri complici si appropriassero di una parte consistente dell’indennizzo versato dall’assicurazione.

La Corte di appello di Catanzaro, in parziale riforma della pronuncia emessa in data 19 ottobre 2020 dal GIP del Tribunale di Lamezia Terme, ha escluso l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., riducendo conseguentemente la pena inflitta a T.F. per i reati di cui agli artt. 81-110-629 (capo 3, in esso assorbito il capo 2) e 110-642 (capo 4) cod. pen. e confermando nel resto.

Il ricorso in Cassazione

L’indagato ha presentato ricorso per Cassazione, argomentando plurimi motivi che risultano fondati nei limiti della qualificazione dei fatti contestati.

La Corte calabrese ha ben chiarito la posizione processuale di D.V.A., inizialmente indagato per la frode assicurativa che era stato costretto a commettere e poi correttamente ritenuto persona offesa, dopo la scoperta del pestaggio e delle intimidazioni ai suoi danni.

Al riguardo la Cassazione sottolinea che non sussiste incompatibilità a testimoniare per la persona già indagata in un procedimento connesso, o probatoriamente collegato, definito con provvedimento di archiviazione. La disciplina limitativa della capacità di testimoniare si applica solo all’imputato, al quale è equiparata la persona ancora indagata nonché il soggetto già imputato, salvo che sia stato irrevocabilmente prosciolto per non aver commesso il fatto.

La narrazione di D.V., all’esito del doveroso e non superficiale scrutinio dei giudici di merito, non necessitava, dunque, di ulteriori riscontri (nondimeno, individuati nelle lesioni certificate e nelle convergenti propalazioni dei collaboratori di giustizia G.G., P.L. e C.G.).

Ciò posto, il delitto non è estinto prescrizione in quanto il fatto è stata commesso in data successiva al 22/5/2011 e da tale data va conteggiata la prescrizione. Quest’ultima matura in 13 anni, 10 mesi e 20 gg. Alla data, così ottenuta, dell’11 aprile 2025, occorre aggiungere ulteriori complessivi 307 giorni di sospensione dei termini. Il termine prescrizionale verrebbe così a maturazione solo in data 12 febbraio 2026.

Anche una richiesta estorsiva pur formalmente priva di contenuto minatorio può manifestare un’energica carica intimidatoria

Queste argomentazioni seguono i principi di diritto, secondo cui anche una richiesta estorsiva pur formalmente priva di contenuto minatorio ben può manifestare in realtà un’energica carica intimidatoria, chiaramente percepita come tale dalla vittima stessa, alla luce della sottoposizione del territorio in cui tale richiesta è formulata all’influsso di notorie consorterie mafiose.

Viceversa, e come già anticipato, sono fondate le doglianze in tema di qualificazione delle condotte oggetto di contestazione. In estrema sintesi, la contestazione originaria, espressa in una particolarmente dettagliata rubrica imputativa, concerneva una violenza privata, un’estorsione aggravata e una frode assicurativa.

Il Giudice di merito aveva ritenuto il delitto ex art. 610 cod. pen. di cui al capo 2 assorbito in quello ex art. 629 cod. pen. di cui al capo 3, poiché “la violenza e minaccia posta in essere dagli imputati è stata diretta alla commissione del reato di estorsione, sostanziatasi detta ultima fattispecie nell’ingiusto profitto con altrui danno“.

L’ingiusto profitto degli imputati

Da un lato, il danno si è sostanziato nel non poter azionare la sua legittima pretesa risarcitoria per le lesioni subite nei confronti dei veri responsabili del fatto, sia nel ricevere, di certo, un risarcimento inferiore rispetto a quello cui avrebbe avuto diritto se avesse denunciato la vera causa delle lesioni subite […].

Dall’altro lato, l’ingiusto profitto degli imputati è stato doppio sostanziandosi sia nel ricevere il profitto di un reato (incassando l’assegno dell’assicurazione), sia nel non essere denunciati per i fatti di reato commessi.

Ebbene, innanzitutto, è pienamente configurabile il concorso tra il delitto di estorsione e quello di frode assicurativa, non sussistendo tra di essi un rapporto strutturale di specialità unilaterale.

Le condotte criminose sono state poste in essere in danno di distinte persone offese, tuttavia il reato di frode in assicurazione non ha natura plurioffensiva, in quanto è volto a tutelare esclusivamente il patrimonio delle imprese assicuratrici dai comportamenti contrari alla buona fede contrattuale, sicché può ritenersi persona offesa solo la Compagnia che gestisce, o liquida, il sinistro e non anche la persona danneggiata dal reato, che potrà agire eventualmente per il risarcimento del danno subito.

Il reato di violenza privata e quello di estorsione

Detto ciò, il reato di violenza privata non può ritenersi assorbito da quello di estorsione, qualora la minaccia proferita, sia pure contemporaneamente a quella estorsiva, tenda a costringere la parte lesa a non denunciare un torto patito, e cioè a una ulteriore limitazione della sua libertà, tutelata appunto dal disposto dell’art. 610 cod. pen.

Sì discorre di violenza privata, e non di estorsione, se i comportamenti posti in essere dagli agenti sono diretti a un ingiusto profitto, anche non patrimoniale. Ma difetta il danno altrui.

Nel caso in cui un reato autonomamente contestato sia erroneamente ritenuto assorbito in una circostanza aggravante di altro reato parimenti contestato, in difetto di impugnazione deve ritenersi formato il giudicato sulla non punibilità per il reato ritenuto assorbito, con la conseguenza che il proscioglimento dal reato complesso, impedisce la automatica sussistenza del reato assorbito, in applicazione del principio del divieto di reformatio in peius.

Conclusivamente, la sentenza viene in parte annullata con rinvio per nuovo giudizio, per la fondatezza della censura testè illustrata.

Avv. Emanuela Foligno

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