In caso di illecito trattamento dei dati personali, nella fattispecie derivanti dall’errata segnalazione alla Centrale dei rischi, il pregiudizio non patrimoniale non può essere “in re ipsa” ma deve essere allegato e provato da parte dell’attore

Il principio è stato espresso dai giudici della Suprema Corte di Cassazione (con la sentenza n. 207/2019), chiamati a pronunciarsi sul ricorso avanzato da una società italiana, in causa contro una finanziaria che a seguito di una errata segnalazione al CRIF le aveva cagionato ingenti danni patrimoniali oltre al danno all’immagine quale “cattivo pagatore”.

La vicenda

Nel giugno del 2007 la società, aveva chiesto ed ottenuto dalla società finanziaria convenuta in giudizio la concessione di un leasing (finanziario) per l’acquisto di un autoveicolo; tuttavia, a ciò era conseguita la apertura di due posizioni contrattuali e di due posizioni debitorie a cui era seguito, a sua volta, il prelievo dal conto corrente bancario del titolare della società di due ratei ogni mese.

La società, accortasi dell’accaduto, aveva chiesto la restituzione delle somme indebitamente prelevate e il trasferimento delle rate di addebito sul proprio conto corrente attraverso uno scambio di missive con la finanziaria, volte a chiarire le differenti posizioni contrattuali.

Successivamente, il legale rappresentante della società chiedeva ad un’altra banca un finanziamento di Euro 25.000,00, che gli veniva negato sul presupposto che risultava segnalato alla CRIF.

In verità, si trattava di un errore commesso dal primo istituto di credito (concedente il leasing). Quest’ultimo, aveva riconosciuto l’errore a cui era seguita la promessa di procedere all’aggiornamento dei dati.

Anche l’ulteriore richiesta di finanziamento per Euro.13.000,00, avanzata dalla società a un’altra banca, aveva sortito esito negativo a causa dell’esistenza di informazioni negative al CRIF e così, con effetto domino, accadeva con le successive richieste di concessione di credito.

Il ricorso al Garante della Privacy e il giudizio di merito

A fronte di queste vicende, la società dopo essersi rivolta, senza esito, al Garante per la protezione dei dati personali, proponeva ricorso giurisdizionale dinanzi al Tribunale di Roma, chiedendo che fosse accertato e dichiarato l’errore commesso dell’illegittima ed erronea segnalazione di una posizione di sofferenza alla CRIF, con conseguente condanna della finanziaria al risarcimento di Euro 240.000,00 a titolo di danni patrimoniali e di Euro 18.000,00 a titolo di danni non patrimoniali.

Il processo di merito si concludeva con l’accertamento dell’errata segnalazione al CRIF da parte della convenuta ai danni della società ricorrente.

Il giudice di primo grado aveva tuttavia negato il risarcimento del danno patrimoniale, quale lucro cessante e danno emergente, per insufficienza di prove.

Discorso diverso per il danno non patrimoniale, liquidato equitativamente in Euro 6.000,00 ed accessori, avendo accertato la violazione dell’art. 11 del codice della privacy per violazione del diritto alla reputazione.

Il ricorso per Cassazione

Come chiarito da questa Corte “in caso di illecito trattamento dei dati personali per illegittima segnalazione alla Centrale dei rischi, il danno, sia patrimoniale che non patrimoniale, non può essere considerato “in re ipsa” per il fatto stesso dello svolgimento dell’attività pericolosa. Anche nel quadro di applicazione dell’art. 2050 c.c., il danno, e in particolare la “perdita”, deve essere sempre allegato e provato da parte dell’interessato.” (Cass. 25/1/2017, n. 1931). Ed inoltre “in caso di illecito trattamento dei dati personali, nella fattispecie per illegittima segnalazione alla Centrale dei rischi… il pregiudizio non patrimoniale non può mai essere “in re ipsa”, ma deve essere allegato e provato da parte dell’attore, a pena di uno snaturamento delle funzioni della responsabilità aquiliana”.

La posizione attorea – aggiungono i giudici della Suprema Corte – è tuttavia agevolata dall’onere della prova più favorevole, come descritto all’art. 2050 c.c., rispetto alla regola generale del danno aquiliano, nonché dalla possibilità di dimostrare il danno anche solo tramite presunzioni semplici e dal risarcimento secondo equità” (Cass. 5/3/2015, n. 4443).

I giudici della Cassazione hanno anche condiviso il giudizio emesso dal Tribunale in ordine alla mancata prova da parte del ricorrente del pregiudizio patrimoniale subito, dichiarando così il ricorso infondato.

La redazione giuridica

 

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2 Commenti

  1. Buongiorno,

    sono l’amministratore unico di una società a responsabilità unipersonale di cui sono unico socio e da cui percepisco un reddito da partecipazione cioè senza compenso come amministratore. Non ho dipendenti.

    Il problema che espongo è il seguente:

    – la società aveva un debito nei confronti di XXXX a causa di un finanziamento per l’acquisto di un auto
    – la società ha pagato regolarmente tutte le rate fino a quando per gravi problemi di salute (embolia polmonare e infortunio agli arti inferiori) sono stato impossibilitato a svolgere la mia attività lavorativa per lungo tempo
    – nel frattempo sopraggiunge l’epidemia Covid e l’ufficio legale della XXXX mi contatta per propormi una soluzione a saldo e stralcio
    – faccio presente all’avvocato del motivo che mi stava rendendo “cattivo pagatore” anche se in qualche modo cercavo di compensare con acconti a copertura delle sofferenze in essere
    – l’avvocato si fa garante per me chiedendomi tutta la documentazione sanitaria a supporto della mia situazione di salute adducendola come unica causa per i ritardi accumulati
    – sicché dopo quasi un mese mi arriva la proposta transattiva a saldo e stralcio con il relativo piano di pagamenti che rispetto in toto
    – durante il periodo dei pagamenti mi accorgo che sia la società che io stesso come persona fisica, siamo stati iscritti in Crif dalla XXXX nonostante gli accordi presi. Mi sono sentito ingannato ed al tempo stesso mi sono reso conto che questa azione “criminosa” mi avrebbe pregiudicato ogni tipo di rapporto finanziario con le banche ed altri enti finanziari
    – ovviamente di tutto ciò che dico ho email e documentazione

    chiedo se questa situazione sia legittima o se intravedete un illecito o per lo meno un raggiro per cui una società finanziaria per ottenere dei soldi propone un atto transattivo (preciso che l’atto transattivo non è stato richiesto dalla società) per il quale si fa scudo dei miei problemi di salute e poi “a ciel sereno” e senza alcuna comunicazione preventiva iscrive me e la società in Crif.

    Spero di aver posto bene il quesito e spero, altresì, di ricevere una risposta sulla fattibilità o meno di un’azione risarcitoria verso la finanziaria specialmente per avermi reso impossibile l’accesso al credito dal momento dell’iscrizione ad oggi che ancora perdura.

    XXX è il nome della finanziaria volutamente nascosto per questioni di Privacy

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