Sotto accusa un altro “furbetto del cartellino” accusato di violazione dei sistemi di rilevazione delle presenze in ambito pubblico

Questa volta si tratta di un dipendente della Regione Calabria, licenziato per giusta causa con l’addebito di avere falsamente attestato la presenza in servizio, propria e di altri dipendenti, mediante l’artificiosa e ripetuta violazione del sistema di rilevazione automatica delle presenze, fra il 12 giugno e l’11 luglio 2013.

Nel giudizio di merito era stato accertato che in appena un mese vi erano state cinque timbrature da parte di altri dipendenti in favore dell’appellante e undici timbrature dell’appellante in favore di altri dipendenti, tutto in violazione della normativa sui sistemi di rilevazione delle presenze.

Il processo

Il Tribunale di Catanzaro, in prima istanza, conformemente all’ordinanza emessa all’esito della fase sommaria, aveva rigettato l’impugnativa del licenziamento; e altrettanto aveva fatto la Corte d’appello della stessa sede, investita del reclamo, che aveva confermato la legittimità dell’atto di recesso, sul presupposto della cessazione del legame fiduciario tra l’amministrazione e il dipendente. È su quest’ultimo che incombe il dovere di rispettare l’orario di lavoro, di adempiere alle formalità previste per la rilevazione delle presenze e di non assentarsi dal luogo di lavoro senza l’autorizzazione del dirigente responsabile.

La Corte territoriale aveva così ritenuto la validità della contestazione mossa dalla parte datoriale sulla base delle emergenze istruttorie delle indagini preliminari e, al tempo stesso, aveva disatteso il rilievo del ricorrente circa la disparità di trattamento rispetto ad altri dipendenti i quali, coinvolti nella medesima vicenda, erano stati sottoposti a una sanzione meramente conservativa.

Nella stessa sentenza i giudici della Corte territoriale avevano escluso che il licenziamento fosse stato irrogato per effetto di un mero automatismo espulsivo in relazione alla previsione di cui all’art. 55 bis D.Lgs. 165/01, posto che al contrario, la condotta del reclamante era stata attentamente valutata dalla P.A. alla stregua del principio di proporzionalità, avuto riguardo alla natura e qualità del rapporto di lavoro, al grado del vincolo fiduciario, all’entità della violazione commessa e all’intensità dell’elemento soggettivo.

Il ricorso per Cassazione

Per la cassazione della sentenza proponeva ricorso il lavoratore licenziato.

Tra gli altri motivi, il ricorrente lamentava la violazione di legge (dell’art. 2697 cod. civ., degli artt. 55-ter, 55-quater e 55-quinquies D.Lgs. 165 del 2001) … anche costituzionale (artt. 2, 3 e 111 Costituzione) per avere la Corte territoriale disatteso l’eccezione formulata in ordine al mancato accertamento istruttorio in sede disciplinare dei fatti contestati: la P.A. si sarebbe limitata ad utilizzare (per relationem) elementi del procedimento penale non assunti nel dibattimento e nel contraddittorio tra le parti.

Riteneva, inoltre, essere vittima di una grave disparità di trattamento, dal momento che in altri procedimenti disciplinari aventi ad oggetto le medesime contestazioni, la Regione Calabria, diversamente da quanto avvenuto nei suoi confronti, aveva ritenuto di attendere l’esito delle verifiche in sede penale.

La decisione della Cassazione

La censura è priva di pregio – affermano i giudici della Suprema Corte–  atteso che la Corte territoriale ha compiutamente motivato la sentenza oggetto del giudizio, trascrivendo le ragioni a supporto del convincimento del Collegio.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema di sanzioni disciplinari a carico dei lavoratori subordinati, la contestazione dell’addebito ha lo scopo di consentire al lavoratore incolpato l’immediata difesa e deve, conseguentemente, rivestire il carattere della specificità, pur senza l’osservanza di schemi prestabiliti e rigidi, purché si rendano chiari al lavoratore, il fatto o i fatti addebitati nella loro materialità.

Ne consegue la piena ammissibilità della contestazione per relationem, mediante il richiamo agli atti del procedimento penale instaurato a carico del lavoratore, per fatti e comportamenti rilevanti anche ai fini disciplinari, ove le accuse formulate in sede penale siano a conoscenza dell’interessato, risultando rispettati, anche in tale ipotesi, i principi di correttezza e garanzia del contraddittorio (Cass. n. 10662 del 2014, n. 29240 del 2017).

In altre parole, non esiste alcuna disposizione che imponga alla Pubblica Amministrazione di procedere a un’autonoma istruttoria ai fini della contestazione disciplinare. La Pubblica Amministrazione è, infatti, libera di valutare autonomamente gli atti del processo penale e di ritenere che i medesimi forniscano, senza bisogno di ulteriori acquisizioni ed indagini, sufficienti elementi per la contestazione di illeciti disciplinari al proprio dipendente e ben può avvalersi dei medesimi atti, in sede d’impugnativa giudiziale, per dimostrare la fondatezza degli addebiti.

Sono validamente utilizzabili dal giudice civile, ai fini del proprio convincimento, gli elementi acquisiti in sede penale e ciò anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento, potendo la parte, del resto, contestare, nell’ambito del giudizio civile, i fatti così acquisiti in sede penale (Cass. n. 2168 del 2013; v. pure Cass. n. 5317 del 2017, n. 8603 del 2017).

La disparità di trattamento

Quanto alla presunta disparità di trattamento con altri lavoratori indagati per gli stessi fatti, secondo i giudici della Suprema Corte – il solo fatto che agli altri lavoratori non fosse stata irrogata la sanzione espulsiva non costituisce valida ragione per inficiare il giudizio di proporzionalità della sanzione applicata al reclamante (salva la dimostrazione di un intento discriminatorio, questione in alcun modo prospettata in giudizio), stante l’autonomia di ciascuna fattispecie in relazione alla posizione soggettiva del dipendente e anche all’impossibilità, sul piano obiettivo, di giustificare una determinata inadempienza attraverso le inadempienze altrui.

Peraltro, già i giudici di merito avevano osservato “con argomento logicamente e giuridicamente corretto” che l’eventuale sottovalutazione dell’Amministrazione riguardo agli illeciti commessi dagli altri colleghi del ricorrente, certo non poteva riflettersi a vantaggio di quest’ultimo.

La redazione giuridica

 

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