Errato posizionamento delle protesi in intervento di mastoplastica (Tribunale Civitavecchia, 02/11/2022, n.1130).
Errato posizionamento delle protesi ùe omessa corretta informazione alla paziente.
La paziente cita a giudizio la Dottoressa e la Clinica deducendone la responsabilità per aver omesso diligenza e perizia nell’esecuzione della prestazione medica, consistita nell’applicazione di protesi per aumentare il volume del seno.
La paziente deduce, inoltre, responsabilità professionale per violazione da parte del Medico dell’obbligo di informazione delle tecniche terapeutiche.
La donna, nel luglio 2007 si sottoponeva a mastoplastica additiva sostenendo una spesa complessiva di euro 6.000,00. Le venivano applicate protesi a livello sottoghiandolare e a distanza di un anno si verificavano fenomeni di rippling, netta visibilità delle protesi nonché dolori diffusi.
Nel maggio 2010 l’attrice veniva sottoposta ad ulteriore intervento chirurgico per sostituzione protesi e loro posizionamento a livello sotto muscolare, sostenendo una spesa di euro 1.000,00. Però le protesi erano state posizionate nuovamente al piano sotto ghiandolare e senza preventivo consenso della paziente. Sicchè, stante il persistere delle problematiche anche successivamente al secondo intervento, la paziente si era rivolta ad altri Sanitari che rilevavano la sussistenza di responsabilità professionale de convenuti riconoscendo un errato posizionamento delle protesi e un conseguente danno biologico permanente valutato nella misura del 10%, inabilità totale di 10 giorni al 100% ed inabilità parziale di 15 giorni al 50% nonché ulteriori 20 giorni al 25%.
Preliminarmente, il Tribunale, in relazione all’eccezione di prescrizione del credito risarcitorio gravante sul Medico, in ragione del titolo di responsabilità extracontrattuale, viene osservato che secondo l’orientamento della Suprema Corte “in tema di responsabilità sanitaria, i criteri di accertamento della colpa e di valutazione della diligenza previsti dagli artt. 3, comma 1, del D.L. n. 158 del 2012, convertito dalla L. n. 189 del 2012, e 7, comma 3, della L. n. 24 del 2017, non hanno efficacia retroattiva e non sono applicabili ai fatti verificatisi anteriormente alla loro entrata in vigore” (Cass. III, 8 novembre 2019, n. 28811; Cass. III, 11 novembre 2019, n. 28994). Entrambi gli interventi medici oggetto di causa si sono verificati in epoca antecedente (2007 e 2010) all’entrata in vigore della Legge Balduzzi e di quella Gelli-Bianco, quindi non opera la prevista responsabilità extracontrattuale del Medico, dovendosi tenere in considerazione i principi del previgente quadro normativo e giurisprudenziale che la qualificavano in termini di responsabilità contrattuale.
Ad ogni modo, il termine di decorrenza va imputato “dal momento in cui viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo, usando l’ordinaria oggettiva diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche” (Cass. SSUU n. 576/2008), risulta che in data 28.01.2013 l’attrice ha interrotto il decorso con raccomandata a/r (recapitata in data 31.10.2013) contenente la formulazione della richiesta di risarcimento danni conseguenti alle operazioni chirurgiche; risulta ancora che nel mese di agosto 2015 è stato attivato il procedimento di mediazione e che nell’anno 2016 è stato introdotto il giudizio di ATP.
La CTU espletata nell’ambito del giudizio ex art. 696 bis c.p.c. ha evidenziato che l’intervento di mastoplastica additiva conosce, essenzialmente, due tecniche: mastoplastica additiva sotto-ghiandolare e sotto-muscolare. La prima presuppone l’inserimento della protesi tra ghiandola mammaria e i muscoli pettorali. La seconda prevede il posizionamento della protesi tra il muscolo grande pettorale ed il muscolo piccolo pettorale.
Dalla RMN del 20.05.2011 il CTU evidenzia che “ l’accertamento ha confermato la presenza di contrazione protesica con descrizione di un aspetto lobulato a destra, senza dare indicazione sul posizionamento sotto pettorale o sotto ghiandolare della protesi nel corso del secondo intervento.” In particolare, nelle conclusioni il CTU ha riportato i postumi residuati dal secondo intervento “gravato da retrazione protesica, rappresentati da deformazioni dei quadranti supero esterno ed interno di entrambe le mammelle più evidenti a destra, definiti Wrikling (visibilità del profilo protesico ed ondulatorio dei tessuti sovrastanti la protesi), con ulteriore asimmetria del margine medio-sternale destro rispetto al controlaterale…[..]…. Tali postumi sono complicanze possibili dell’intervento di Mastoplastica additiva descritte nella letteratura scientifica e nelle linee guida della Società Italiana di Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica.”
Tuttavia, è indubbio che la Risonanza Magnetica mammaria del 12.11.2013 ha invece chiarito che il posizionamento delle protesi è stato sempre sotto ghiandolare, in discordanza, quindi, con la cartella clinica redatta dal sanitario in occasione del secondo intervento di Mastoplastica.
Il profilo di colpa che risulta emergere è quello, infatti, della scelta dell’opzione terapeutica adottata dal medico convenuto in sede di secondo intervento che effettivamente evidenzia un errato posizionamento delle protesi.
Difatti “I postumi e le complicanze lamentate dalla paziente si verificano con visibilità maggiore e con un rischio più elevato in caso di collocamento di protesi sotto ghiandolare, in quanto la posizione sotto pettorale assicura “il miglioramento del tessuto molle del polo superiore, miglior copertura protesica nei pazienti magri, wrikling meno visibile, minor visibilità dell’impianto, probabilmente un minor tasso di contrattura capsulare e una migliore visibilità del parenchima mammario durante la mammografia. Sicuramente svantaggi relativi al posizionamento sotto-pettorale sono una potenziale maggiore incidenza di deformità e dislocamento protesico durante la contrazione muscolare, più dolore postoperatorio” e aggiungendo che il Dual Plane “massimizza la copertura e il sostegno della protesi mammaria, riducendo al minimo gli svantaggi del posizionamento sotto-muscolare, tra cui la distorsione durante la contrazione muscolare e la pseudoptosi del tessuto mammario ghiandolo-adiposo sovrastante l’impianto sotto-muscolare”.
In altri termini, all’esito del primo intervento, correttamente eseguito, esitavano dolenzia, contrazione capsulare e asimmetria del seno. Tali esiti erano indice che la soluzione di posizionamento sotto ghiandolare non era quella preferibile in relazione alla paziente, tanto più che dovevano applicarsi protesi più voluminose. Tali considerazioni devono, allora, indurre a ritenere colposa la condotta del sanitario per avere, in sede operatoria, optato su una tecnica -quella sotto ghiandolare- più rischiosa e pregiudizievole perché comportante a) una maggiore possibilità di verificazione del Wrikling e b) con caratteristiche ben più visibili.
I CTU ha stimato il danno biologico permanente, comprensivo del danno estetico, nella misura del 5%, mentre il danno biologico temporaneo in giorni 15 per inabilità temporanea totale e in ulteriori giorni 30 per inabilità temporanea totale al 50%.
Il consenso informato, infine, non è risultato essere stato fornito in modo idoneo. In occasione del secondo intervento non risulta indicata nel modulo la tecnica chirurgica indicata, anzi risulta indicata la collocazione sotto pettorale della protesi. Appare, del tutto evidente che se la paziente avesse conosciuto la pratica in concreto utilizzata di posizionamento sotto ghiandolare ed i minori benefici in termini di evidenza del Wrikling non avrebbe prestato il consenso alla tecnica, in quanto avrebbe optato per l’altra tecnica sotto muscolare, meno rischiosa e più proficua in termini di rimozione degli esiti di Wrikling.
Conclusivamente, oltre alla liquidazione del danno biologico viene riconosciuto un ulteriore importo a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale per lesione del diritto di autodeterminazione della paziente.
Avv. Emanuela Foligno
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