La Cassazione ha precisato cosa accade se la ex moglie si rifiuta di lavorare e che ripercussioni vi siano sul diritto all’assegno divorzile

Cosa accade, in termini di assegno divorzile, se la ex moglie si rifiuta di lavorare?
Secondo la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, che si è espressa in merito con l’ordinanza n. 25697/2017, va valutata l’effettiva possibilità di svolgere un’attività lavorativa retribuita e la circostanza che i figli sono ormai grandi.
Nella determinazione dell’assegno divorzile, infatti, il giudice deve tener conto anche dell’effettiva possibilità del coniuge che lo pretenda a svolgere un’attività lavorativa retribuita.
Ne consegue, pertanto, che l’assegno vada rideterminato o addirittura soppresso se la ex moglie si rifiuta di lavorare. Specie se la donna, madre di figli ormai grandi e in grado di rimanere a casa da soli, non accetti proposte d’impiego.

È quanto hanno deciso i giudici in merito al ricorso di un uomo a carico del quale il giudice a quo aveva posto l’assegno di mantenimento per i due figli e un assegno divorzile nei confronti della moglie.

La Corte di merito, secondo il ricorrente, non aveva vagliato la sua richiesta di diminuzione dell’assegno divorzile. Soprattutto in virtù di alcune circostanze decisive ex art. 5, comma 6, legge n. 898/1970 che non erano state esaminate.
Nello specifico, l’uomo aveva sottolineato l’inerzia della ex coniuge nella ricerca di un impiego.
Non solo. Evidenziava anche il rifiuto dalla medesima opposto a una concreta opportunità lavorativa che le si era presentata.
I giudici hanno ritenuto fondata la richiesta dell’uomo. In particolare, hanno evidenziato la decisività che assume sulla decisione la prova delle condotte allegate dal ricorrente.
In questo caso, quelle riguardanti il mancato reperimento, da parte dell’ex moglie, di una entrata economica derivante dallo svolgimento di un’attività lavorativa.

Per la giurisprudenza, si deve considerare l’attitudine a procurarsi un reddito da lavoro da parte del coniuge che pretenda l’assegno di mantenimento.

Questo chiaramente tenendo conto della effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita.
Nel caso di specie esaminato dai giudici, trattandosi della definitiva cessazione della relazione coniugale a seguito di divorzio, tale principio assume ancor più rilevanza.
Altro elemento considerato dai giudici è l’età dei figli, ormai grandi e quindi che non necessitavano della costante presenza fisica di un adulto.
Pertanto, secondo la Cassazione, il giudice a quo non si è pronunciato con adeguata motivazione e quindi il provvedimento impugnato va cassato con rinvio al giudice di merito.
 
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