«Ciò che stava a cuore all’imputato era di eludere il vincolo delle 38 ore di presenza in reparto, imposto dal contratto di lavoro, per avere flessibilità di orario e recarsi ogni pomeriggio presso il suo studio professionale»

Così i giudici della Seconda Sezione Penale della Cassazione (sentenza n. 35414/2019) hanno confermato la sentenza di condanna, pronunciata dalla Corte d’appello di Milano, a carico un medico ospedaliero, direttore sanitario di un nosocomio, in ordine al reato di truffa aggravata.

Secondo l’accusa, il sanitario faceva timbrare ad altri il suo cartellino in ospedale per “potersi recare ogni pomeriggio con orari di suo gradimento nel suo studio privato ove esercitava la professione pur percependo una indennità di impiego esclusivo”.

“Ciò che contava era comunque, attestare una presenza in servizio che lo mettesse al riparto da contestazione, relative al mancato rispetto del monte ore e nell’ambito di tale disegno si inseriva e si prestava, l’attività di un complice”: sua moglie.

A tenergli il gioco era stata proprio la compagnia, anch’essa imputata per truffa aggravata, alla quale il marito le aveva falsamente intestato uno studio odontoiatrico, di cui soltanto egli era effettivo titolare.

Il ricorso per Cassazione

Condannati entrambi, in primo e secondo grado di giudizio, i due coniugi hanno presentato ricorso per Cassazione, il primo, in particolare, assumendo di non essere sottoposto ad alcun vincolo di orario, in quanto dirigente di una struttura complessa.

A tal riguardo, l’art. 15 del CCNL non fa alcun riferimento all’orario minimo stabilito in 38 ore settimanali dall’art. 14 per i dirigenti di struttura semplice, venendo in rilievo per i primi solo il raggiungimento degli obiettivi prefissati e non, appunto, il vincolo al rispetto di un minimo orario, come anche confermato dalle circolari dell’ARAN in materia.

La condanna definitiva

Ma entrambi i ricorsi sono stati dichiarati inammissibili. La Corte di Cassazione ha condiviso l’argomentazione offerta dai giudici di merito in ordine alla penale responsabilità del direttore sanitario circa le false timbrature del cartellino, “in alcuni giorni omesse, in altri giorni effettuate da un collega”. Peraltro, era stato accertato che egli avesse un rapporto di esclusiva con l’ospedale dal quale percepiva l’indennità.

Quanto alla titolarità dello studio, un verbale di ispezione amministrativa dei Nas aveva confermato la sua effettiva ed unica titolarità, come da egli stesso dichiarato.  

La decisione della corte d’appello è stata anche condivisa con riguardo alla attività del complice, la cui valenza causale non è stata ritenuta per nulla trascurabile: condannata per concorso nel delitto di falso.  

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