La falsità in scrittura privata commessa su un assegno non trasferibile configura gli estremi del reato di cui all’art. 485 c.p., abrogato dal D.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, art. 1, comma 1, lett. a) e trasformato in illecito civile

Nell’ottobre del 2017 la Corte d’Appello di Palermo, in riforma della sentenza di primo grado, aveva assolto l’imputato dai delitti di falsità in scrittura privata ed uso di atto falso perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.

Avverso la predetta sentenza aveva proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica di Palermo, affidandolo ad un unico motivo. Sosteneva fosse stata commessa violazione di legge con riferimento agli artt. 491 e 485 c.p., disciplinanti i citati reati.

Ed infatti, secondo il pubblico accusatore, la condotta assunta dall’imputato, diversamente da quanto asserito dal giudice d’appello, integrava gli estremi del delitto di falsità in titoli di credito di cui all’art. 491 c.p., dal momento che egli aveva non soltanto falsificato la firma dell’assegno ai fini dell’incasso ma ne aveva anche alterato il nome del beneficiario.

Ma per i giudici della Cassazione, il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.

Sono state proprio le Sezioni Unite della Cassazione che, in una recente sentenza del 2018, hanno statuito che “in tema di falso in scrittura privata, la falsità commessa su un assegno bancario munito della clausola di non trasferibilità configura la fattispecie di cui all’art. 485 c.p., abrogato dal D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, art. 1, comma 1, lett. a) e trasformato in illecito civile (S.U. n. 40256 del 19.07.2018)”, ponendo in questo modo fine all’esistente contrasto giurisprudenziale in materia.

A tal fine non assume neppure alcuna rilevanza la circostanza, pure evidenziata dal Procuratore ricorrente, per cui nel caso in esame la falsificazione dell’assegno aveva riguardato non solo la firma, ma anche il nome del beneficiato: ai fini della valutazione della natura penale o meno della condotta posta in essere da colui che pone all’incasso il titolo, non hanno alcuna importanza le concrete modalità di falsificazione realizzate, quanto l’apposizione sullo stesso titolo della clausola di non trasferibilità.

La clausola di non trasferibilità

Le stesse Sezioni Unite hanno anche ribadito che la clausola di non trasferibilità, immobilizzando il titolo nelle mani del prenditore, ne esclude la trasmissibilità per girata, tale non potendo considerarsi la girata ad un banchiere per l’incasso, che (non a caso definita “impropria”) ha natura di mandato a riscuotere ed è priva di effetti traslativi del diritto inerente al titolo.

La clausola di non trasferibilità, in sostanza, modifica “in concreto” il regime di circolazione del titolo, così facendo venire meno il requisito di maggiore esposizione al pericolo che giustifica la più rigorosa tutela penale.

Inammissibile, dunque, il ricorso del PM.

La redazione giuridica

 

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