Ce ne parla il dott. Maurizio Palombi, chirurgo vascolare ospedaliero e Coordinatore della Commissione Ulcere Cutanee dell’OMCeO di Roma
Le ‘ferite difficili’ sono un problema non facilmente inquadrabile in termini di incidenza numerica nel nostro Paese: questa definizione comprende diverse tipologie di lesioni cutanee e i dati statistici, che peraltro riguardano i soli accessi ospedalieri, sono incompleti e poco aggiornati. Secondo alcune stime le ulcere cutanee rappresenterebbero lo 0,4% dei ricoveri e l’1% delle giornate di degenza in Italia.
Quel che è certo è che il fenomeno è ampio e destinato a crescere.
“L’aumento dell’aspettativa media di vita della popolazione – spiega a Responsabile Civile Maurizio Palombi, Coordinatore della Commissione Ulcere Cutanee dell’Ordine dei Medici di Roma – va di pari passo con l’aumento delle malattie degenerative croniche come le vasculopatie arteriose e venose e il diabete mellito, con annesse complicanze ulcerative croniche e gravi turbe del trofismo del piede su base ischemica e/o neuropatica (piede diabetico). E’ destinato a crescere anche il numero di pazienti diabetici, i quali con il progredire dell’età vanno facilmente incontro a fratture maggiori degli arti inferiori, anche per il sovrapporsi di osteoporosi, e quindi a lunghi periodi di allettamento ed ospedalizzazione con rischio elevato di sviluppare ulcere da pressione”.
A complicare la situazione vi sono i pazienti ospedalizzati che, specialmente se costretti per lunghi periodi a letto e impossibilitati a muoversi, possono presentare deiscenze di ferite chirurgiche più o meno gravi e lesioni da pressione. In questi casi il ricorso alla chirurgia può risolvere il problema della perdita di sostanza provocata dalle ferite, come nel caso dei pazienti para e tetraplegici, ma non sempre è possibile intervenire, a causa della condizioni cliniche del paziente. Inoltre, non sempre gli interventi vanno a buon fine.
“In tali casi – spiega Palombi – i pazienti per guarire necessitano di medicazioni tecnologicamente avanzate diverse nelle varie fasi evolutive delle lesioni (VAC Therapy, cellule staminali, Fattori di crescita e Bioingegneria tessutale), che devono essere applicate da personale esperto in Wound Care. Le medicazioni così fatte consentono nella maggior parte dei casi di ridurre i tempi di ricovero in Ospedale e i pazienti dopo la dimissione possono essere seguiti ambulatoriamente e/o a domicilio, previa attivazione di C.A.D. medico-infermieristici”.
Il modello di gestione dei pazienti sul territorio presenta numerose criticità che evidenziano la mancanza di una rete integrata di assistenza tra strutture e professionisti in grado di comunicare tra di loro e di offrire al paziente soluzioni efficaci ottimizzando le risorse a disposizione.
“Fino a ieri – sottolinea il Coordinatore della Commissione Ulcere Cutanee dell’Omceo Roma – pensavamo che l’unica soluzione fosse creare un numero sempre maggiore di ‘ambulatori specifici’ negli ospedali e qualche altro sul territorio, per dare continuità assistenziale ai pazienti. Ma alla luce dell’esperienza vissuta da noi stessi e da quanti altri si sono interessati del problema, ci siamo resi conto che creare delle “cattedrali nel deserto” è pressoché inutile e che la vera soluzione sta nel creare dei ‘percorsi diagnostico-terapeutici integrati ospedale-territorio’ per la gestione di queste patologie, in cui siano impegnati come anelli di un’unica rete medico di medicina generale, specialisti ambulatoriali di discipline pertinenti (angiologi, chirurghi generali , vascolari e plastici, dermatologi e diabetologi), ambulatori infermieristici e strutture ospedaliere competenti”.
Per il paziente la porta d’ingresso principale per simili percorsi dovrebbe essere rappresentata dal medico di famiglia o dal pediatra di libera scelta, considerando che queste problematiche riguardano purtroppo molto spesso anche bambini. E’ il medico, infatti, che conosce l’anamnesi patologica remota dei propri pazienti e che può valutare meglio come intervenire, scegliendo per l’assistito un trattamento personale, oppure indirizzandolo verso una struttura specialistica; e in ogni caso limitando il ricorso all’Ospedale solamente per i casi più complessi, dalle gravi ulcere diabetiche, ischemiche e infette, alle infezioni gravi da anaerobi che necessitano di trattamenti in camera iperbarica.
“Per realizzare tale modello – sottolinea ancora Palombi – occorre passare attraverso una corretta informazione e una giusta formazione con aggiornamenti continui”.
I quattro obiettivi da raggiungere per l’OMCeO Roma riguardano l’implementazione e il miglioramento dell’attività di wound care ospedaliera attraverso la formazione del personale medico e infermieristico; la conoscenza e corretta applicazione delle linee guida; la fornitura ai medici di base di una serie di punti di riferimento sul territorio verso cui indirizzare i pazienti; il coinvolgimento delle farmacie, che potrebbero rappresentare un riferimento semplificato per un’eventuale assistenza domiciliare qualificata nei casi meno complessi.
“La razionalizzazione dei mezzi a disposizione e delle risorse umane ben addestrate – conclude Palombi – potrebbe consentire la realizzazione di tale rete integrata ospedaliera e Ospedale-Territorio senza comportare spese aggiuntive significative, oltre a quelle già programmate e consentirebbe una gestione ottimale dei pazienti. Infatti sapere e far sapere il modo corretto di gestione delle lesioni difficili consentirebbe una continuità terapeutica sicuramente più efficace”.