Per lo Stato Italiano, l’attribuzione del sesso all’atto di nascita, si basa sul corredo cromosomico e la conformazione genitale in base a quanto stabilisce il medico. L’identità di genere invece indica il “sentimento d’appartenenza” all’uno o all’altro genere.

Transessualità e disforia di genere

Per transessuale s’intende una persona che affronta un percorso di transizione. Il termine è stato coniato dal dottor David Cauldwell  nel 1949 entrando così in seguito alla pubblicazione di The transsexual phenomenon (Il fenomeno transessuale) del dott. Harry Benjamin (1966). Il testo considera la transessualità come l’unica patologia, tra le psichiatriche, a non essere curata psichiatricamente. L’individuo a cui viene diagnosticato il disturbo dell’identità di genere (noto come disforia di genere) viene rimandato alle terapie endocrinologiche e/o chirurgiche per iniziare il percorso di transizione. La persona non viene dunque “guarita”- non ci sono sintomi da curare – facendola sentire a proprio agio con il suo sesso di origine, ma semplicemente adeguando il sesso al fine di un miglioramento delle qualità di vita.

Il dott. Valerio Valentini, psicologo e collaboratore dell’Istituto di Medicina Legale di Modena spiega che «è difficile fare psicoterapia con queste persone. Non sono motivate. Il problema è esterno, non interno. Non hanno interesse a comprendere aspetti di sé e ricercare motivazioni profonde, sono egosintonici, sono cioè in sintonia con il loro disturbo e la psicoterapia è puramente strumentale all’ottenimento del certificato che dia avvio alla terapia ormonale. Succede però che scavando a fondo emergono dei disagi infantili e inconsce motivazioni che portano a queste scelte. Ecco perché sarebbe importante una terapia ma non è possibile obbligare un individuo a fare psicoterapia».

A sostegno della disforia di genere anche il pensiero di Camille Paglia, lesbica femminista, oltre che saggista, antropologa e sociologa, che riconosce la sua omosessualità e le sue tendenze transgender come una «forma di disfunzione di genere» perché in natura «ci sono solo due sessi determinati biologicamente»; e i casi di effettiva androginia sono rarissimi «il resto è frutto di propaganda». Nel caso in cui la disforia di genere venisse “depatologizzata” accadrebbe come in Francia dove tutto è privatizzato e a carico della persona.

Stando alle parole del prof. Fabrizio Iacono, urologo e andrologo dell’Università Federico II di Napoli «studi sul cervello umano in questi soggetti hanno già dimostrato che presentano strutture cerebrali più simili a quelle del genere psichico di appartenenza che a quello fisico. Una teoria che incontra un certo successo tra gli studiosi fa ricondurre il “Disturbo dell’Identità di Genere” ad un’anomala azione degli ormoni materni durante la gravidanza. Una ricerca avanzata e completa sui cromosomi e sui geni consentirà quindi con tutta probabilità, in futuro, di dare delle risposte definitive alle tante domande che ancora oggi ci poniamo sull’argomento».

trans-cambio-sesso-responsabile-civile

Quella di Simona è una storia come tante altre, fatta di interrogativi, dubbi e sofferenza. Prima però si chiamava Gianluca. Bambino timido, insicuro e  sempre distaccato dall’ambiente “maschile” degli altri bambini, per «troppo violento e competitivo». Ha portato la «maschera da maschio» con fatica, terrorizzata dal rischio di non essere accettata dagli altri. A 17 anni ruba i vestiti della sorella compiacendosi delle parvenze femminili. Legare con le donne è molto faticoso. Solo a 38 anni, dopo un’intima sofferenza, Simona confida ad un’amica che vuole consultare uno psicologo. Un anno di sedute. Tempo perso, lo psicologo non rilascia il certificato per avviare la procedura ormonale. Ne segue un altro e un altro ancora. Intanto, il difficile «outing» con la famiglia. Simona perde il lavoro ma non si arrende sul suo cammino. Dopo oltre due anni di terapia ormonale seguita dall’endocrinologo, ottiene la sentenza del tribunale per l’intervento. Ora è donna e lo è anche per lo Stato italiano.

Lo Stato. La legge e i documenti

Per lo Stato, l’attribuzione del sesso all’atto di nascita, si basa sul corredo cromosomico e la conformazione genitale in base a quanto stabilisce il medico. L’identità di genere invece indica il “sentimento d’appartenenza” all’uno o all’altro genere. Per il cambio dei documenti dunque ci si attiene alle norme vigenti. In Italia la legge che regolamenta la riattribuzione del sesso è la Legge 164 del 14 aprile 1982, approvata dopo una mobilitazione del Movimento Italiano Transessuali e dei Radicali.

La 164 riconosce alle persone transessuali la loro condizione e identifica il sesso di transizione. All’art. 3 si legge: «Il tribunale, quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico, lo autorizza con sentenza. In tal caso il tribunale, accertata la effettuazione del trattamento autorizzato, dispone la rettificazione in camera di consiglio». Il testo della legge si rifà alla norma tedesca (10 settembre 1980, nr.1654) che prevede 2 tappe dette soluzioni: nella prima (piccola soluzione) si riattribuisce anagraficamente un nome adatto alle istanze della persona senza la necessità di interventi ormonali/chirurgici. Nella grande soluzione (la seconda) rimane facoltativa e permette (dopo almeno due anni di vita vissuta come appartenente al sesso di elezione e dopo varie verifiche) di accedere all’iter che porta fisicamente alla riassegnazione chirurgica del sesso.

La rigida interpretazione della legge prevede la necessità dell’intervento chirurgico per adeguare i dati anagrafici. In realtà se il medico non ritiene necessaria l’operazione è possibile ottenere ugualmente la modifica. Già alcuni casi lo dimostrano. Grazie alla sentenza 15138/2015 ora è possibile cambiare i dati anagrafici senza ricorrere alla chirurgia. Un ricorso portato avanti dall’avvocato Alessandra Gracis che da tempo si dedica ai transessuali che hanno subito danni durante gli interventi.

In quanto a documenti doppi un passo avanti è stato fatto dagli Atenei di Napoli, Torino, Bologna e Padova che hanno deliberato la possibilità del doppio libretto per gli studenti transgender. Tuttavia il lungo percorso intrapreso dalla persona in transito non la rende affatto immune da episodi e fenomeni di discriminazione. Ogni 20 novembre infatti si celebra la Transgender Day of Remembrance delle persone uccise nel corso dell’ultimo anno in tutto il mondo per colpa della transfobia.

Come inizia il percorso di transizione?

Presa consapevolezza del proprio disagio la persona si rivolge a professionisti – attraverso centri ad hoc – che certificano il “disturbo dell’identità di genere”. Molti gli sportelli e le associazioni disponibili all’aiuto. Inizia così il percorso di transizione. Ottenuta la certificazione, dopo sei mesi ci si può rivolgere all’endocrinologo per la terapia ormonale e i successivi trattamenti chirurgici-estetici, questi però a carico della persona transessuale, che vanno a inibire i caratteri sessuali biologici  (rimozione della barba, mastoplastica/mastectomia, inibire l’erezione). Da questo momento in poi non è più possibile tornare indietro.

“Molti però ci ripensano e tornano indietro – rivela il dott Valentini – fanno qualche intervento come la ricostruzione del naso ad esempio e poi si fermano”. Ad ogni modo per chi supera tutti gli ostacoli, dubbi ed eventuali ripensamenti  il sostegno psicologico rimane costante lungo l’intero cammino e la terapia ormonale continuerà per tutta la vita. Il Test di Vita Reale (RLT, Real Life Test) è contemporaneo all’assunzione ormonale e la persona si interfaccia al mondo in conformità al suo sentimento di genere, adeguandosi nell’abbigliamento e comportamento. Dopo due anni, una relazione stilata dai professionisti che hanno seguito la persona viene presentata al Tribunale competente.

L’osservatorio nazionale sull’identità di genere (ONIG) fornisce tutte le informazioni dettagliate utili a chi vuole intraprendere questo percorso. Fondato nel 1998  in collegamento con l’Harry Benjamin International Gender Dysphoria Association inc. (HBIGDA), nel suo statuto “si propone di favorire il confronto e la collaborazione di tutte le realtà interessate ai temi del transgenderismo e del transessualismo al fine di approfondire la conoscenza di questa realtà a livello scientifico e sociale e promuovere aperture culturali verso la libertà di espressione delle persone transessuali e transgender in tutti i loro aspetti”, nell’ottica di un miglioramento della salute psico-emotiva, intesa in accordo con l’indicazione della Organizzazione Mondiale della Sanita’ (Ginevra 1974): “La salute sessuale è l’integrazione degli aspetti somatici, affettivi, intellettuali e sociali dell’essere sessuato, in modo da pervenire ad un arricchimento della personalità umana, della comunicazione e dell’amore”. Un lavoro a 360 gradi su questo tema, con un equipe di esperti, rappresentanti di associazioni e professionisti, impegnati alla garanzia della qualità dell’assistenza di chi intraprende questo percorso.

Vita quotidiana e reinserimento sociale

Il passo finale consiste nel re-inserimento sociale: di solito inizia già all’epoca del Real Life Test, ma si completa con la conclusione dell’iter legale: si tratta di riconfigurare la propria vita in tutto e per tutto, da un punto di vista lavorativo e sociale, come membro del genere scelto. Lo scopo è quello conseguire l’affermazione completa del proprio progetto di vita e di cittadinanza attiva. Questo è forse un aspetto ancora un po’ trascurato da parte dei professionisti che si occupano più concretamente delle fasi precedenti, in quanto con la riassegnazione anagrafica, l’iter si intende ormai concluso. Segue dunque un percorso di “follow-up”, la verifica circa l’inserimento sociale e le condizioni psicofisiologiche connesse con gli adeguamenti effettuati.

Il MIT offre assistenza per il diritto al lavoro in caso di mobbing e discriminazione. In Italia non esistono norme discriminatorie ma nemmeno a tutela di queste persone per cui spesso il sentire comune conduce alla paura di ciò che è percepito come “diverso”. Risulta molto difficile dimostrare che licenziamenti, mobbing e perdita di mercato (nel caso di lavori autonomi) abbiano come motivazione il transessualismo. Molto spesso così l’individuo per sopravvivere finisce col prostituirsi. “Questo è uno dei motivi per cui molto spesso non si fa l’intervento completo – come ci spiega anche il dott Valerio Valentini – senza l’organo maschile è difficile se non impossibile prostituirsi e come abbiamo già detto molte la strada rimane l’unica soluzione”.

Riconversione. Asportazione degli organi sessuali e ricostruzione

Il giudice, accettando le perizie di parte e sentito il parere di periti d’ufficio, può decidere se concedere l’autorizzazione con sentenza. Per come la legge 164 è comunemente interpretata, alla base dell’effettivo svolgimento dell’intervento chirurgico che prevede l’asportazione degli organi genitali primari e secondari, c’è la ricostruzione, in gradi diversi, di strutture fisiche somiglianti il più possibile agli organi sessuali secondari del sesso desiderato (neo-vagina, neo-pene).

L’ operazione può avvenire a carico del SSN tramite la richiesta di inserimento nella lista d’attesa e a Roma si esegue al Saifip, il Servizio per l’Adeguamento tra identità fisica e identità psichica, dell’Ospedale S.Camillo-Forlanini. Viene quindi effettuato un secondo ricorso, col supporto della cartella clinica che attesti l’avvenuto intervento, per ottenere, sempre dal Tribunale, la rettifica dei dati anagrafici, a cui segue la lunga attività di correzione di tutta i documenti (patente, licenze, titoli di studio, depositi bancari, bollette, atti di proprietà…) con l’eccezione del casellario giudiziario e l’estratto integrale di nascita, documenti che possono essere richiesti esclusivamente dallo Stato o da Enti pubblici.

ASCOLTA L’INTERVISTA RADIOFONICA AL PROF. CARLO TROMBETTA, DIRETTORE DELLA SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE IN UROLOGIA DI TRIESTE

L’INTERVENTO CHIRURGICO DEL CAMBIO SESSO, COME SI PROCEDE?

-DA MASCHIO A FEMMINA-

L’iter chirurgico maschio-femmina (MtF) consiste nella vaginoplastica che consiste di due fasi: demolitiva e ricostruttiva. Nella fase demolitiva vi è l’asportazione degli organi genitali originari (castrazione): testicoli, epididimo e funicolo, corpi cavernosi, uretra peniena. Solo la prostata viene conservata. In quella ricostruttiva la pelle del pene viene introflessa a “dito di guanto” per foderare una neo-cavità ricavata tra retto e vescica e mantiene la sensibilità. Una porzione del glande viene conservata per costruire un clitoride che mantenga sensibilità erogena specifica e permetta nel 70-80 % dei casi di avere una buona sensibilità erotica durante i rapporti sessuali.

“Nulla viene buttato – spiega il professor Carlo Trombetta, direttore della scuola di specializzazione in urologia di Trieste – vengono mantenuti i collegamenti con i nervi (che vengono ripiegati su se stessi), le arterie e le vene”. Si modella dunque la vulva, le grandi e piccole labbra e il monte di venere al fine di somigliare più simile possibile al corrispondente organo femminile. Seguono in genere altri brevi interventi di modellamento fatti in anestesia locale.  “Tra gli interventi di transizione – spiega ancora Trombetta – quello MtF è quello più frequente”. L’intervento dura in genere quattro/cinque ore con un ricovero di 10-15 giorni.

La persona poi dovrà indossare un conformatore vaginale elastico (o tutor) a forma di palloncino o di fallo per un periodo iniziale per evitare la tendenza naturale dei tessuti a ridurre il diametro e la profondità della neo-cavità. “La neo-vagina – illustra ancora il dott. Trombetta – ha una profondità di 10-15 cm rispetto a quella di una donna biologica che è tra gli 8 e i 12 cm, in quanto è realizzata utilizzando la cute del pene e parte della mucosa uretrale. Il lavoro verte sulla dilatazione e la maggior profondità si spiega per la naturale tendenza della cute ad accorciarsi”. I rapporti sessuali possono essere ripresi mediamente dopo due mesi. In genere sono soddisfacenti, se non si sono verificate complicanze rilevanti e nel 70-80% dei casi permettono il raggiungimento dell’orgasmo “che comunque precedentemente all’intervento veniva raggiunto con la penetrazione anale”.

-DA FEMMINA A MASCHIO-

L’iter chirurgico femmina-maschio (FtM) è più complicato e più lungo. Inizia con la mastectomia e la rimozione delle ghiandole mammarie. Segue poi l’Istero–annessectomia con un unico intervento chirurgico di asportazione di utero e ovaie. La vagina, in genere, non viene rimossa perché la sua asportazione complica e prolunga la durata dell’intervento, e vede spesso grandi perdite di sangue. D’altra parte la vagina tende a ridursi spontaneamente e, se richiesto, può essere asportata successivamente. La Falloplastica è un intervento opzionale che non tutte le persone con Disturbo dell’Identità di Genere vogliono effettuare. Differenti metodi chirurgici permettono di perseguire differenti obiettivi ma con rischi e conseguenze differenti.

La Falloplastica ha la funzione estetica di realizzare un organo simile al pene. È inoltre possibile ottenere una funzione urinaria con costruzione di neouretra che permetta la fuoriuscita dell’urina all’apice dell’organo costruito. Per la funzione sessuale si utilizza l’inserimento nel fallo di una protesi simile a quelle usate per l’impotenza per rendere rigido l’organo costruito e abile alla penetrazione. Tra le varie tipologie di interventi la più utilizzata prevede il trapianto di un lembo tubolato dell’avambraccio nella regione inguinale. Le arterie, le vene e i nervi vengono collegati per garantire una sensibilità tattile. Un intervento di microchirurgia che dura 8-10 ore. La sensibilità erogena presente nel clitoride viene mantenuta lasciando questa struttura nella sede originaria, alla base del neo fallo costruito.

La Meataoidoplastica consente di valorizzare al massimo le modificazioni ottenute sul clitoride con la terapia ormonale che determinandone una ipertrofia gli consente di raggiungere anche i 5-7 centimetri durante l’erezione. Vi è poi  l’uretroplastica che permette la minzione in posizione eretta. Questo intervento ha il vantaggio di realizzare un neofallo di forma molto naturale e di sensibilità inalterata ma di dimensioni ridotte e non adeguate alla penetrazione. “In questo intervento – spiega il prof Trombetta – i risultati sono diversi rispetto all’MtF. Quando tutto va benissimo la riuscita si può paragonare a un uomo impotente. La funzione estetica dunque è prevalente”. Infine c’è la Scrotoplastica , un intervento abbastanza semplice che si realizza con l’introduzione di due protesi testicolari di forma, dimensioni e consistenza simili a quelle di un testicolo, in genere all’interno di cavità ricavate nelle grandi labbra.

Garanzie intervento. Se qualcosa va storto?

Per comprendere la natura dei rischi ci siamo rivolti al professor Trombetta, chirurgo specializzato in questo tipo di interventi che spiega come i pazienti vengano affiancati già mesi prima dell’intervento da persone che hanno affrontato lo stesso percorso che li aiutano e sono per loro di supporto psicologico. “Quanto alla riuscita dell’operazione non esiste l’intervento a rischio zero ma le percentuali che mostrano ottimi risultati sono alte. I problemi che si hanno sono soprattutto legati al fattore estetico. Va bene la simmetria, la profondità e la sensibilità interna ed esterna ma la cosa che più mi colpisce è la pretesa di un’estetica che spesso è difficile da ottenere”.

Dall’altra parte se l’intervento presenta complicazioni tanto da comprometterne la riuscita, in termini legali non vi sono parametri di riferimento. L’avvocato Alessandra Gracis spiega infatti che nel caso di malpractice vengono assegnati dei punti di disfunzionalità. “E’ inoltre difficile tradurre in risarcimento la quantificazione del danno. È importante richiamare l’attenzione del medico legale sulla valutazione del danno. Come si valuta una disfunzione di un organo riconvertito che prima non c’era”. La Corte di Cassazione con la sentenza 9471/2004  pone fine ad una vicenda giudiziaria che vedeva contrapposto un soggetto transessuale e i medici che avevano effettuato l’ intervento diretto alla modificazione dei caratteri sessuali. La responsabilità del medico è dunque para-oggettiva di natura contrattuale. È necessario provare solo il nesso di causalità tra danno e prestazione professionale ricevuta. Il medico deve pertanto dimostrare di aver eseguito correttamente la prestazione.

“Per ridurre il numero degli interventi andati male – suggerisce l’avvocato Gracis – bisognerebbe concentrare gli interventi in una, massimo due strutture di eccellenza nazionale che concentrino capacità e tecniche. Gli interventi in Italia sono tra i 100 e i 150 dunque i chirurghi effettuano pochi interventi per cui il rischio che qualcosa vada storto aumenta. Non possiamo trattare queste persone come cavie”.  Il prof Trombetta, esperto in questo settore rivela infatti di eseguire tra i 14 e i 20 interventi l’anno, lui che è il primo in Italia ad aver dato vita a un master sulla disforia di genere all’Università di Trieste .

Bisogna tenere presente tuttavia – come tutti gli esperti interpellati hanno ricordato – che molti ancora vanno si rivolgono in strutture straniere per l’intervento risolutivo. A questo proposito dallo studio condotto dal team del dott. Fabio Barbone, direttore dell’Istituto di Igiene e di Epidemiologia dell’Ospedale di Udine, emerge la prevalenza dei «gender disphoria» si trovano in Scozia e in Inghilterra. “Quella scozzese è molto documentata – rivela il dott. Barbone – e anche in Belgio vi è un numero piuttosto alto in base alla letteratura che abbiamo studiato. La religione è un fattore di riferimento e quella Protestante è uno di quei fattori ambientali che determinano tale scelta concedendo più libertà all’individuo.

“Il nostro lavoro è quello di cercare di capire le motivazioni e il perché il fenomeno del transessualismo è più presente in alcune zone rispetto ad altre. È un lungo lavoro e il dibattito è ancora caldo. Nostra premura è anche la protezione di queste persone, l’uso di terapie ormonali le rende più sensibili allo sviluppo di patologie. Il nostro obiettivo è che godano di un’esistenza il più possibile sana e felice”.

a cura di Laura Fedel

PER APPROFONDIRE:

-ASCOLTA L’INTERVISTA – Transessuali, Grillini: «puntiamo alla depatologizzazione»

-LEGGI L’ARTICOLO – Elena, transessuale, vittima di errori medici o discriminazione?

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui