Gasolio sporco e blocco del motore, chi paga i danni?

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Il titolare dell’impianto di erogazione e la Tamoil vengono ritenuti responsabili per i danni materiali subiti dall’impianto di alimentazione della Jeep a causa del gasolio sporco frammisto ad acqua e sporcizia.

Il fatto

La proprietaria della Jeep conveniva in giudizio davanti al Giudice di Pace di Sulmona la società O., titolare dell’impianto di erogazione del carburante. La danneggiata lamenta di aver ivi acquistato gasolio immettendone 57,98 litri nel serbatoio della sua Cherokee. A partire dal rifornimento, dopo una iniziale perdita di potenza del motore per circa 45 km di percorrenza, era derivato il blocco totale del motore, poi rivelatosi causato da acqua e sporcizia rinvenute frammiste nel gasolio stesso.

La riparazione del motore del veicolo ha causato l’esborso per €3.061,01 (come da fatture di riparazione). Il Giudice di Pace rigettava la domanda ritenendo mancante sia la prova del nesso causale tra carburante e danno, sia del vizio originario del gasolio, oltre che la prova del danno e della sua entità, prove che la danneggiata avrebbe dovuto fornire per far valere la responsabilità delle società convenute.

Il Tribunale di Sulmona, in funzione di giudice di appello, con sentenza n. 252 pubblicata in data 17/11/2022, ha rigettato integralmente l’appello condannando la donna a rimborsare a Tamoil Spa le spese del primo grado del giudizio e a pagare le spese del grado di appello in favore di tutte le parti costituite.

Il ricorso in Cassazione

Dinanzi alla Cassazione la donna lamenta che, contrariamente a quanto affermato dal giudice dell’appello, era la controparte, citata in giudizio per far valere il relativo inadempimento contrattuale e la conseguente risoluzione del contratto di compravendita, a dover vincere la presunzione di responsabilità su di essa gravante, fornendo la prova di aver venduto un bene conforme, bastando al consumatore anche la sola allegazione dell’esistenza del difetto di conformità. Era altresì onere del venditore e non del consumatore, ai fini della richiesta di manleva nei confronti del produttore, l’eventuale dimostrazione che il bene fosse viziato fin dall’origine.

La censura è corretta (Cassazione Civile, sez. III, 22/05/2024, n.14332).

Il Giudice di appello riferisce che la domanda della donna era volta a far valere non già la responsabilità del venditore ma quella, previa e distinta, del fornitore. E che, inoltre, il consumatore non aveva dato prova, ai sensi dell‘art. 120 del D.Lgs. n. 206 del 2005, come già previsto dall’art. 8 D.P.R. n. 224 del 1988, del collegamento causale non già tra prodotto e danno bensì tra difetto e danno, solo una volta fornita tale prova incombendo al produttore dare la prova liberatoria, consistente nella dimostrazione che il difetto non esisteva nel momento in cui il prodotto fu posto in circolazione.

Il Codice del Consumo

Ebbene, tale ragionamento non è attinente alla domanda formulata dalla proprietaria della Jeep che ha agito non per la responsabilità extracontrattuale del produttore o fornitore per difetto originario del bene prodotto ex art. 120 del Codice del Consumo, ma per far valere la responsabilità contrattuale del venditore ex art. 132, comma 3, Codice del Consumo ratione temporis applicabile. In base al questa si presume – salvo prova contraria – che i difetti di conformità manifestatisi entro sei mesi dalla consegna del bene a tale data fossero già esistenti, a meno che tale ipotesi sia incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità.

La Corte accoglie la censura, dichiara assorbito il secondo motivo e rinvia al Tribunale di Sulmona in diversa composizione.

Avv. Emanuela Foligno

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