Il tecnico radiologo, lavoratore della ASP di Enna, decede per infarto cagionato dagli eccessivi carichi di lavoro cui era sottoposto. Il Tribunale accoglie la domanda risarcitoria, invece, la Corte di Appello la respinge, confermando la causa di servizio e la condanna all’equo indennizzo
Il caso
Le congiunte del dipendente si rivolgono al Tribunale di Nicosia per chiedere la condanna dell’ASP al pagamento dell’equo indennizzo dovuto per la causa di servizio dell’evento mortale e al risarcimento del danno non patrimoniale da perdita parentale.
Il Tribunale accoglie le domande, ma la Corte d’Appello di Caltanissetta rigetta la domanda di risarcimento del danno, confermando la causa di servizio dell’evento e la condanna al pagamento dell’equo indennizzo.
Il primo ricorso in Cassazione
Contro la decisione d’appello propongono ricorso entrambe le parti e la Corte di Cassazione, con sentenza n. 14313/2017, dichiara inammissibile il ricorso incidentale dell’A.S.P. Mentre, in accoglimento del ricorso principale, cassa con rinvio alla Corte d’Appello di Palermo, con il compito di riesaminare la domanda di condanna al risarcimento del danno, sulla base del ribadito principio secondo cui “la responsabilità dell’imprenditore per la mancata adozione delle misure idonee a tutelare l’integrità fisica del lavoratore discende o da norme specifiche o, quando queste non siano rinvenibili, dalla norma di ordine generale di cui all’art. 2087 c.c., la quale impone all’imprenditore l’obbligo di adottare nell’esercizio dell’impresa tutte quelle misure che, secondo la particolarità del lavoro in concreto svolto dai dipendenti, si rendano necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori”.
All’esito del giudizio di rinvio, la Corte di Appello di Palermo conferma integralmente, sia nell’an che nel quantum, il dispositivo di condanna della sentenza di primo grado del Tribunale di Nicosia. Contro tale sentenza l’ASP di Enna propone (altro) ricorso per cassazione.
Il secondo intervento della Corte di Cassazione
La ASP contesta alla Corte di Appello di avere dichiarato inammissibile l’eccezione inerente la riduzione della condanna al risarcimento del danno detraendo da quanto liquidato l’importo riconosciuto dal Giudice di primo grado a titolo di equo indennizzo. Al riguardo, per completezza espositiva, la Corte di Appello ha osservato “l’eccezione è infondata, poiché l’equo indennizzo è un diritto del lavoratore esercitato dalle appellate iure successionis, mentre il pregiudizio da perdita parentale è un diritto dalle medesime esercitato iure proprio“.
La censura non coglie nel segno.
Se la Corte di Palermo ha errato a dichiarare inammissibile l’eccezione di compensatio lucri cum damno volta a mitigare l’entità della condanna, ha tuttavia colto nel segno laddove ha dichiarato “comunque” infondata l’eccezione.
L’equo indennizzo e il risarcimento del danno svolgono funzioni diverse. L’istituto dell’equo indennizzo, proprio per il concetto di equità e discrezionalità ad esso inerente, e per la sua non coincidenza con l’entità effettiva del pregiudizio subito dal dipendente, non ha funzione risarcitoria, ma si concretizza in una obbligazione pecuniaria del datore di lavoro, di natura retributiva e strettamente inerente al rapporto di lavoro, che sorge per effetto di una infermità ricollegabile eziologicamente all’attività lavorativa spiegata.
Equo compenso e danno non patrimoniale
Anche se entrambi gli istituti, hanno sul lato passivo il medesimo soggetto obbligato (il datore di lavoro), la diversità delle loro funzioni esclude che il loro cumulo comporti un risarcimento di importo superiore al danno e, quindi, un ingiustificato arricchimento del soggetto danneggiato.
L’equo indennizzo è dovuto ai familiari della vittima iure hereditatis, mentre il danno non patrimoniale risarcibile è quello personalmente sofferto (iure proprio), da ciascuna di loro, in quanto strette congiunte della vittima.
In definitiva, correttamente la Corte territoriale in sede di rinvio ha disatteso l’eccezione di compensatio lucri cum damno, non fermandosi al preliminare giudizio di inammissibilità, ma rilevandone “comunque” l’infondatezza, in mancanza di un lucro da porre in nesso di causalità giuridica con l’illecito (inadempimento contrattuale) che è la fonte dell’obbligazione risarcitoria.
Avv. Emanuela Foligno