Due genitori con un passato difficile e due personalità non ancora definite: l’assenza di segnali favorevoli della possibilità di recuperare le proprie competenze genitoriali ha portato i giudici della Suprema Corte a confermare lo stato di adottabilità della minore
La vicenda
La Corte d’appello di Torino, sez. minorenni, con motivazione, sottratta al sindacato di legittimità, aveva riferito della condizione generale di inadeguatezza di entrambi i genitori e dello stato di abbandono in cui versava la figlia.
La madre della minore si era già allontanata dalla comunità presso la quale i Servizi sociali avevano disposto il suo inserimento e aveva contravvenuto alle relative prescrizioni, non presentandosi agli incontri con gli esperti o adducendo giustificazioni non credibili; la sua personalità – a giudizio della corte di merito – presentava importanti criticità derivanti dal suo vissuto personale che ne avevano compromesso lo sviluppo affettivo e le capacità genitoriali; secondo gli esperti, il riavvicinamento alla figlia, nel frattempo collocata presso un’altra famiglia, avrebbe potuto compromettere la sua crescita.
La donna aveva dimostrato un totale disinteresse nei confronti dei figli, anteponendo le proprie esigenze personali e i propri progetti di convivenza con uomini diversi.
Ad ogni modo, secondo i giudici di merito, entrambi i genitori non erano in grado di assicurare alla bambina un percorso di vita stabile e favorevole, in considerazione della loro “immaturità globale”: la madre soffriva di un disturbo borderline della personalità insorto o aggravatosi a causa della grave conflittualità in famiglia nella prima infanzia che la portava a ripetere gli stessi comportamenti con i figli; il padre era, invece, un soggetto “in difficoltà nella costruzione di una propria identità e di un progetto esistenziale da adulto”.
Dalla suddetta motivazione emergeva con chiarezza l’insussistenza di un favorevole segnale prognostico circa la possibilità di costruzione o di recupero delle competenze genitoriali.
La Corte di Cassazione (Prima Sezione Civile, ordinanza n. 27206/2019) ha pertanto, confermato la decisione impugnata, poiché rispettosa del principio di diritto secondo cui la recisione del legame con la famiglia di origine costituisce una extrema ratio (da ultimo Cass. n. 3915 del 2018) cui ricorrere quando non sia fattibile, come nella specie, altra soluzione idonea ad assicurare il benessere e una prospettiva di positivo sviluppo psicofisico del minore. E’ stata, pertanto, ritenuta poco pertinente la lamentata ingerenza dello Stato nella vita familiare, ai sensi dell’art. 8 Cedu, che era invece giustificata, anche sotto il profilo della proporzionalità del mezzo rispetto allo scopo.
L’adozione mite
Parimenti non è stata neppure accolta la doglianza relativa alla violazione e falsa applicazione dell’art. 44, lett. d), della legge n. 184 del 1983, per non avere disposto l’adozione in casi particolari o l’adozione mite.
Ed invero, l’istituto della cosiddetta adozione mite, la quale lascia aperta la possibilità di una prosecuzione dei rapporti tra il minore e la famiglia di origine, è stato elaborato dalla giurisprudenza di merito nei casi in cui l’interruzione totale di detti rapporti sia giudicata come tale da avere ripercussioni negative sullo sviluppo del minore, mentre nella specie era stato accertato che proprio tale interruzione avrebbe salvaguardato l’interesse della minore al raggiungimento di una stabilità affettiva da ricercare altrove.
La redazione giuridica
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