Ai fini della concessione del beneficio del gratuito patrocinio si tiene conto del solo reddito personale nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare, con lui conviventi

La vicenda

L’esponente aveva proposto ricorso per cassazione, avverso il provvedimento di revoca del beneficio del gratuito patrocinio adottato dal Tribunale di Foggia su richiesta dell’Agenzia delle Entrate.

Per la Quarta Sezione Penale della Cassazione (sentenza n. 43238/2019) la parte aveva proceduto legittimamente.

Ed invero, la giurisprudenza ha ripetutamente affermato che in tema di patrocinio a spese dello Stato, nel caso di revoca dell’ammissione al beneficio disposta su richiesta dall’amministrazione finanziaria – come nel caso di specie – l’interessato, ove non intenda proporre opposizione ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 99, ha la facoltà di ricorrere direttamente per cassazione, ai sensi dell’art. 113 D.P.R. cit., per violazione di legge (Sez. 4, Sentenza n. 11771 del 07/12/2016).

Nel “merito” il ricorso è stato dichiarato fondato.

Il ricorrente, già nell’istanza funzionale all’ammissione al Patrocinio, aveva indicato di non percepire alcun reddito; ed aveva specificato che i redditi percepiti dai familiari conviventi non potevano essere computati ai fini dell’ammissione al beneficio, trattandosi delle persone offese del reato di maltrattamenti indicato nel capo di imputazione, relativo al procedimento penale per il quale si procedeva.

Ebbene, il Tribunale di Foggia, senza fare alcun riferimento alle richiamate evenienze riguardanti la natura dei rapporti intercorrenti tra imputato e familiari conviventi, aveva disposto la revoca del provvedimento di ammissione al Patrocinio a spese dello Stato che era stato già adottato in suo favore, richiamando il reddito complessivo del nucleo familiare, relativo all’anno di imposta 2016.

I reati ascritti al ricorrente riguardavano i delitti di estorsione continuata e di maltrattamenti perpetrati in danno dei genitori conviventi, nel periodo compreso dall’anno 2000 al 15 maggio 2016.

il Tribunale di Foggia avrebbe, perciò, dovuto fare applicazione del principio di diritto ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in base al quale “nella determinazione del reddito complessivo rilevante ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, qualora si proceda per il reato di maltrattamenti, lesioni personali e atti persecutori ai danni del coniuge dell’istante, non si tiene conto dei redditi del coniuge che abbia abbandonato la casa familiare per sottrarsi a tali reati, sia per la mancanza del requisito della convivenza previsto dal comma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 76, sia perché gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli del coniuge ai sensi del medesimo art. 76, comma 4” (Sez. 4, Sentenza n. 45889 del 30/06/2017).

La decisione

In un’altra sentenza la Suprema Corte ha, altresì, aggiunto che nella determinazione del reddito complessivo rilevante ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, qualora si proceda per il reato di violazione degli obblighi assistenziali, non si tiene conto dei redditi facenti capo al coniuge e ai figli che solo formalmente compongono il nucleo familiare (Sez. 4, Sentenza n. 11902 del 10/03/2016).

Per tutte queste ragioni, i giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno annullato senza rinvio il provvedimento di revoca del decreto di ammissione al beneficio adottato dal Tribunale pugliese, nell’ambito del procedimento penale a carico dell’imputato.

La redazione giuridica

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