È illegittimo negare l’accesso alla cartella clinica richiesta dagli eredi di un paziente deceduto a seguito di intervento chirurgico, qualora essa sia ritenuta rilevante al fine di valutare con completezza la correttezza dell’operato dei sanitari

La vicenda

I ricorrenti erano gli eredi del paziente che, dopo essere stato sottoposto ad un intervento di protesizzazione femorale presso un importante ospedale della capitale, era deceduto a causa di setticemia.

Nell’agosto del 2016 presentavano una prima istanza volta ad ottenere la cartella clinica del loro congiunto. L’ospedale, tuttavia, gli forniva una documentazione incompleta (risultava infatti assente l’esame colturale delle urine per verificare la presenza di batteri).

Cosicché l’istanza veniva reiterata, ma anche questa volta la cartella clinica risultava incompleta, questa volta, mancavano i referti e risultati dell’esame dell’emocromo effettuati sia prima sia dopo l’intervento.

Tale carenza era risultata anche dalle annotazioni riportate dai vari medici specialisti all’interno della medesima cartella.

Di qui, la terza istanza di accesso alla quale l’Ospedale non rispondeva.

Il ricorso al Tar

Gli eredi decidevano di adire direttamente il Tribunale Amministrativo della Regione Lazio al fine di sentir dichiarare l’illegittimità del silenzio rigetto nel frattempo maturatosi sulla predetta terza istanza per violazione degli artt. 22 ss della legge n. 241 del 1990 nonché per violazione dell’art. 97 Cost.

Premesso che “La diffusione dello strumento dell’accesso nella prassi dei rapporti tra amministrazione e cittadino deve essere rivolta ad assicurare al privato la trasparenza dell’agire amministrativo, indipendentemente dalla lesione in concreto di una determinata posizione di diritto o di interesse legittimo, in tale ottica- affermano i giudici del Tribunale amministrativo -, “la documentazione sanitaria relativa ad un ricovero ed eventuale intervento chirurgico con i relativi esami diagnostici rientra nell’amplissima nozione di “documento amministrativo” di cui alla lett. d) dell’art. 22, l. n. 241 del 1990, trattandosi di atti interni detenuti dalla struttura ospedaliera, in relazione all’attività di pubblico interesse dalla stessa svolta al fine di assicurare al cittadino una adeguata assistenza sanitaria, e così il diritto primario e fondamentale alla salute“.

Tale conclusione può essere senz’altro condivisa se il “documento” viene in considerazione in un’ottica di rapporto diretto tra cittadino-utente (o soggetto comunque legittimato in conseguenza del rapporto con questi) e struttura ospedaliera che detiene la cartella clinica e cioè tutte le volte che la conoscenza del contenuto della cartella stessa sia strumentale a verificare il corretto agire dell’Amministrazione che ha erogato il servizio sanitario” (cfr. T.A.R. Brescia, sez. II, 13 luglio 2011, n. 1043)”.

Il diritto di accesso alla cartella clinica

Per queste ragioni, doveva essere riconosciuto agli eredi il diritto di accedere alla cartella clinica della loro parente defunta ai sensi dell’art. 22 comma 1, l. n. 241 del 1990, come modificato dalla l. 11 febbraio 2005 n. 15 ed ex art. 9 comma 3, d.lg. 30 giugno 2003 n. 196, in quanto titolari di interessi propri, corrispondenti a situazioni giuridicamente tutelate e collegate ai documenti richiesti in copia”(T.A.R. Catania, sez. IV, 17 novembre 2007, n. 1877)”.

Al contrario, il silenzio serbato dall’intimata struttura ospedaliera doveva ritenersi illegittimo specie, laddove era stato negato l’accesso ad una documentazione (esame emocromo precedente l’intervento) ritenuta rilevante al fine di valutare, con completezza, la correttezza dell’operato dei sanitari nei confronti della loro congiunta.

La redazione giuridica

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