Accolto il ricorso della responsabile Area di un’azienda accusata dell’infortunio occorso a una dipendente per la mancata fornitura dei guanti anti taglio, non previsti dal DVR

Con la sentenza n. 12137/2021 la Cassazione si è pronunciata sul ricorso delle Responsabile Area di un’azienda, delegata dal legale rappresentante della stessa, accusata di lesioni personali aggravate per colpa consistita nella violazione dell’art. 18, comma 1, lett. d), d.lgs. 81/08, avendo omesso di fornire a una dipendente, addetta al servizio di pulizia e sanificazione, gli idonei dispositivi di protezione individuale (guanti anti taglio), cagionando l’infortunio della lavoratrice, la quale, mentre stava effettuando le pulizie all’interno del supermercato, “dopo aver raccolto, con scopa e paletta, dei pezzi di vetro, durante la fase di chiusura di un sacco per la raccolta indifferenziata, al cui interno li aveva riposti, si tagliava, subendo lesioni personali (lesione tendine estensore del 2° dito dx), da cui derivava una malattia di durata superiore a 40 giorni”.

I Giudici del merito avevano ritenuto, in base alle risultanze dell’istruttoria dibattimentale, che l’infortunio subito dalla lavoratrice, a causa della mancata dotazione di guanti idonei a proteggerla dall’eventuale contatto con il materiale tagliente, costituisse un profilo di colpa ascrivibile all’imputata, legale rappresentante della società, che, in quanto tale era tenuta, anche in caso di valida delega delle funzioni a terzi, a vigilare e controllare che il delegato usasse la delega in conformità alle prescrizioni di legge.

In particolare, si contestava alla ricorrente di non avere, nella sua qualità di responsabile dell’area e delegata di primo livello anche in materia antinfortunistica, “disposto, preteso e controllato, anche effettuando la dovuta ed adeguata vigilanza, che i lavoratori utilizzassero in modo corretto i dispositivi di protezione presenti nello stabilimento”. Il riferimento era ai guanti anti-taglio, che pur presenti in azienda, non erano stati consegnati alla dipendente per precisa scelta organizzativa aziendale, essendo state date diposizioni di non toccare gli oggetti taglienti con le mani ma di operare con altre, più sicure, modalità.

Al riguardo la Suprema Corte, adita dalla ricorrente, ha tuttavia osservato come non fosse priva di significatività, ai fini dell’esclusione della responsabilità dell’imputata, la circostanza che il rischio di cui si tratta fosse stato preso in considerazione nel documento di valutazione rischi ove si era esclusa la necessità di impiego di guanti anti-taglio per l’espletamento dell’attività svolta dalla lavoratrice.

I guanti anti- taglio, infatti, erano stati acquistati ed impiegati per altre lavorazioni, in una prospettiva di eliminazione del rischio alla fonte. Finalità, questa – come affermato dalla ricorrente – perseguita dal Servizio di Prevenzione e Protezione aziendale e attuata mediante la specifica previsione che i lavoratori, a fronte dell’evenienza in cui operò la persona offesa, non dovessero in alcun modo manipolare oggetti dotati di superfici taglienti, dovendo, invece, utilizzare altri strumenti (paletta e secchiello) per rimuoverli per successivamente inserirli in un recipiente rigido.

“Non si vede, pertanto, quale regola cautelare l’imputata avrebbe violato, né è dato rinvenire, nella sentenza impugnata, l’accertamento di alcun nesso di causalità tra la condotta alla stessa ascritta e l’evento occorso alla lavoratrice la quale ha disatteso le precise istruzioni ricevute, sulla cui osservanza il datore di lavoro o chi lo rappresenta ha ragionevolmente diritto di fare affidamento”.

Nel caso di specie, afferente ad un’impresa di grandi dimensioni, veniva, altresì, in rilievo il cosiddetto principio di esigibilità. “La colpa – hanno precisato gli Ermellini – ha, infatti, un versante oggettivo, incentrato sulla condotta posta in essere in violazione di una norma cautelare, e un versante di natura più squisitamente soggettiva, connesso alla possibilità dell’agente di osservare la regola cautelare. Il rimprovero colposo riguarda infatti la realizzazione di un fatto di reato che poteva essere evitato mediante l’osservanza delle norme cautelari violate. Il profilo soggettivo e personale della colpa viene generalmente individuato nella possibilità soggettiva dell’agente di rispettare la regola cautelare, ossia nella concreta possibilità di pretendere l’osservanza della regola stessa: in sostanza, nell’esigibilità del comportamento dovuto. Si tratta di un aspetto che si colloca nell’ambito della colpevolezza, in quanto esprime il rimprovero personale rivolto all’agente. A questo profilo della responsabilità colposa la riflessione giuridica più recente ha dedicato molta attenzione, nel tentativo di personalizzare il rimprovero dell’agente attraverso l’introduzione di una doppia misura del dovere di diligenza, che tenga conto non solo dell’oggettiva violazione di norme cautelari ma anche della concreta possibilità dell’agente di uniformarsi alla regola, valutando le sue specifiche qualità personali e la situazione di fatto in cui ha operato”.

Da tali considerazioni la Cassazione ha tratto che la qualità dell’imputata, di Responsabile Area “non costituisce di per sé prova della conoscenza o della conoscibilità, da parte della stessa, di prassi comportamentali, più o meno ricorrenti, contrarie alle disposizioni in materia antinfortunistica”.

Ciò significa che “un’eventuale condotta omissiva al riguardo non può esserle ascritta laddove non si abbia la certezza che fosse a conoscenza della prassi elusiva o che l’avesse colposamente ignorata”.

Invero, “la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione da parte di questi di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (la cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso”.

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