HBV e HCV dopo appendicectomia: 8% di danno permanente

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Lo svilupparsi di un’epatite cronica attiva HBV ed HCV correlata, è casualmente derivante dal ricovero in quanto i markers per l’infezione risultavano negativi al momento del ricovero

A seguito di intervento di appendicectomia il paziente contraeva il virus HBV e HCV e conviene in giudizio dinanzi al Tribunale di Nola (sez. I, sentenza n. 1362 del 25 settembre 2020), la Casa di Cura onde ottenere il risarcimento del danno permanente alla salute stimato nella misura del 40%.

In particolare, il paziente deduce che prima dell’intervento i Markers da Epatite B e C davano esito negativo e che successivamente, gli esami ematochimici rilevavano positività per HBs-AB e per HCV.

Si costituisce in giudizio la Casa di Cura, deducendo la mancanza di adeguata prova in ordine al nesso eziologico esistente tra l’intervento praticato e l’insorgenza della patologia anche sotto il profilo temporale, ben avendo potuto il paziente contrarre la patologia presso le strutture successivamente adite.

La causa veniva istruita attraverso due CTU Medico-Legali.

Il paziente, allega quale profilo di inadempimento qualificato della struttura lo svilupparsi di un’epatite cronica attiva HBV ed HCV correlata, evidenziandone la derivazione causale dal ricovero presso la struttura ospedaliera sulla base del rilevo che i markers per l’infezione risultassero negativi al momento del ricovero, essendo la predetta patologia insorta nei mesi immediatamente successivi (nel rispetto del periodo di incubazione, pari a 120 giorni).

Il primo CTU,  afferma che “al momento del ricovero presso la Casa di Cura (…) e quindi prima dell’intervento di appendicectomia (5 marzo 2010) gli indici di laboratorio escludevano la presenza di un’epatopatia HCV positiva. Pertanto, anche se non può escludersi in modo assoluto la presenza di un periodo, cosiddetto, finestra, si deve affermare che al momento del ricovero non vi erano alterazioni cliniche e di laboratorio indicative della presenza della patologia epatica”.

“Un’iniziale alterazione degli indici di citolisi epatica cominciarono a manifestarsi già in occasione del ricovero presso l’Ospedale (…) del 14 aprile 2010, cioè dopo circa 40 giorni dal primo intervento chirurgico. La ricerca dell’HCV con risultato positivo fu effettuata solo in data 26 luglio 2010…… esame che permise di porre diagnosi di epatopatia C positiva”, …..(…)… “la negatività degli accertamenti effettuati al momento del ricovero presso la Casa di Cura (…), la continuità dei controlli di laboratorio eseguiti nel corso del periodo di trattamento della complicanza settica, l’assenza, in quel periodo, di altri interventi invasivi estranei alla patologia appendicolare ed alla complicanza settica possono far riconoscere un collegamento causale tra l’intervento di appendicectomia e patologia epatica”.

Sulla scorta delle conclusioni del CTU, il Tribunale ritiene provata la sussistenza di un nesso di causalità adeguata, tra il ricovero nella struttura e l’insorgenza della patologia epatica, con conseguente affermazione di responsabilità della Casa di Cura.

Le contestazioni svolte dalla Casa di Cura circa i tempi di incubazione del virus sono smentite dalle considerazioni del CTU, il quale afferma la sussistenza di un nesso di adeguatezza causale facendo riferimento all’insorgenza dei primi indici di alterazione epatica a distanza di 40 giorni dall’intervento, ed alla assenza di altri interventi invasivi nel predetto periodo temporale, confermando, sotto il profilo temporale, il rapporto di causalità.

Inoltre, la Casa di Cura non ha provato ipotetiche fonti alternative (di tipo extraospedaliero) dell’infezione lamentata dal paziente e, conseguentemente, il Tribunale afferma la responsabilità della struttura.

Per la liquidazione del relativo danno il Tribunale utilizza il criterio  che rapporta il cosiddetto valore punto alla gravità della menomazione ed all’età del soggetto leso, utilizzando i valori della Tabelle di Milano.

Il primo CTU, dopo aver rilevato quali esiti permanenti “modica epatomegalia; alterazione degli indici di citolisi epatica con HCV positiva”, ha quantificato i postumi permanenti nella misura dell’8%.

Il secondo CTU, nominato al fine di integrare la prima consulenza sotto il profilo della quantificazione dell’invalidità permanente (previa applicazione dello specifico baréme demandato) e temporanea, ha confermato tale percentuale di invalidità ed ha quantificato la ITT nella misura di 20 giorni, nonché una successiva ITP valutabile al 75% per 30 giorni, al 50% per ulteriori 60 giorni ed al 25% per ulteriori 30 giorni.

Viene liquidato l’importo di euro 17.004,00, alla quale va aggiunto l’importo di euro 7.840,00 a titolo i IT (di cui 1.960,00 a titolo di ITT, di euro 2.205,00 a titolo di ITP al 75%, di euro 2.940,00 a titolo di ITP al 50%, di euro 735,00 a titolo di ITP al 25%), per un totale di euro 24.844,00.

Sul ristoro del danno morale e della personalizzazione invocate dal paziente il Tribunale osserva che è stata allegata e provata con certificazioni mediche la sussistenza di un disagio di natura psicologica, insorto per effetto della contrazione della patologia.

Risulta, quindi, documentalmente provato, che l’infezione contratta ha prodotto nel danneggiato uno stato di sofferenza e di disagio psichico ulteriore ed aggiuntivo rispetto al pregiudizio permanente espresso dalla percentuale riscontrata nella misura dell’8%.

Pertanto, a titolo di personalizzazione viene riconosciuta una percentuale di risarcimento aggiuntiva stimata nella misura del 15% sulla somma dovuta a titolo di danno permanente (17.004,00), pari ad euro 2.550,60.

In definitiva, la somma complessivamente liquidata al danneggiato è pari ad euro 28.427,66, (di cui euro 27.394,60 a titolo di danno non patrimoniale ed euro 1.033,06 a titolo di danno patrimoniale), oltre interessi.

Infine, il Tribunale, considerato che l’accoglimento della domanda, originariamente proposta per euro 271.564,18, è risultato estremamente ridotto, compensa le spese di giudizio nella misura del 60%, ponendo il residuo 40% a carico della Casa di Cura.

Avv. Emanuela Foligno

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