Non può riconoscersi al lavoratore il diritto al premio produzione se questo risulta da scrittura privata che non specifica l’oggetto della prestazione lavorativa

Il ricorso del lavoratore

Un lavoratore aveva citato in giudizio la società datrice di lavoro, chiedendo che fosse accertata e dichiarata l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dipendenze di quest’ultima a decorrere dal 1.2.2007, poi proseguito con altra società (anch’essa convenuta) per effetto dell’intervenuto trasferimento d’azienda, e la condanna delle predette al pagamento delle differenze retributive maturate anche per T.F.R.. Il ricorrente aveva anche chiesto che fosse accertata l’illegittimità e l’inefficacia del licenziamento intimatogli nel settembre 2009 con condanna alla reintegrazione nel posto precedentemente occupato, oltre la pagamento di tutte le retribuzioni maturate e non erogate fino alla reintegrazione.

Il Tribunale di Cremona accolse in parte le domande e, dichiarata l’esistenza del rapporto di lavoro tra il ricorrente e la società convenuta, annullò il licenziamento, ordinando la reintegrazione nel posto di lavoro e la condanna al pagamento, a titolo risarcitorio, delle retribuzioni maturate.

Il premio produzione

La Corte di appello di Brescia – dato atto che il giudizio era proseguito solo con riguardo alla domanda di condanna al pagamento del premio di produzione avanzata nei confronti della società cedente – aveva evidenziato che il lavoratore, che ne era gravato, non aveva provato il suo diritto a percepire il premio di produzione azionato. La Corte di merito aveva, infatti, rilevato che del premio di produzione era fatta menzione in una scrittura privata che, tuttavia, era priva della specificazione dell’oggetto della prestazione lavorativa.

La vicenda è giunta così in Cassazione. Nella specie, il Supremo Collegio (Sezione Lavoro, sentenza n. 7974/2020) ha confermato la sentenza impugnata, dando atto del fatto che il ricorso del lavoratore fosse generico e pertanto inammissibile.

Come è noto, in tema di ricorso per cassazione l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone l’ammissibilità del motivo. La parte deve perciò, riportare in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non generici, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell’iter processuale senza compiere generali verifiche degli atti (Cass. 25/09/2019 n. 23834).

La decisione

Nel caso di specie, il ricorrente avrebbe dovuto in concreto riportare “nei termini esatti e non genericamente, ovvero per brevi estratti o per riassunto del suo contenuto, quella parte della motivazione della sentenza di primo grado dalla quale si poteva evincere il positivo accertamento dell’esistenza del diritto a percepire il premio di produzione rivendicato, che il Tribunale affermava essere stato verosimilmente corrisposto “al nero” (Cass. 08/06/2016 n. 11738).

Il ricorrente aveva anche lamentato l’errato uso delle presunzioni deducendo che, ove le dichiarazioni rese dal teste escusso fossero state correttamente valutate nel loro complessivo tenore, si sarebbe dovuto ritenere esistente il diritto e non provata la corresponsione delle somme richieste. Così facendo però, il ricorrente pretendeva che la Corte procedesse ad una nuova e diversa valutazione delle dichiarazioni esaminate dalla Corte di merito, inammissibile in sede di legittimità.

Per queste ragioni, il ricorso è stato rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

La redazione giuridica

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