Il potere di liquidare il danno in via equitativa

0
contratto di locazione

Il potere del giudice di liquidare il danno in via equitativa presuppone la prova dell’esistenza del danno risarcibile e l’impossibilità oggettiva di una sua precisa quantificazione. In mancanza di adeguata documentazione probatoria, la liquidazione equitativa non può supplire all’onere probatorio gravante sulla parte. Deve essere specificatamente indicato in quale modo il Giudice del merito si sarebbe discostato dai canoni legali di interpretazione contrattuale (Corte di Cassazione, II civile, ordinanza 17 aprile 2025, n. 10138).

La vicenda trae origine dall’attività commerciale svolta da H. s.r.l., nel settore della distribuzione di prodotti naturali e fitoterapici. D.E. Il legale rappresentante della società, già dal 1989 aveva collaborato alla commercializzazione in Italia con vari contratti, stipulati rispettivamente nel 1991, 1997 e 2011, fintanto che ottenne l’esclusiva per la distribuzione dei prodotti Q. in Italia, Repubblica di San Marino e Città del Vaticano.
La controversia sorge quando H. affermava che la controparte sopra indicata era venuta meno agli obblighi contrattuali, in particolare all’obbligo di esclusiva, consentendo ad altri operatori di distribuire i prodotti nel medesimo territorio. Ulteriori inadempimenti venivano allegati per la fornitura di prodotti non conformi alle norme italiane sull’etichettatura e di prodotti avariati, episodi che causavano il sequestro di alcune merci da parte dei carabinieri di Treviso.

Domanda di risoluzione contrattuale e decisione del Tribunale di Venezia

H. domandava al Tribunale di Venezia la risoluzione del contratto del 2011 per inadempimento e il risarcimento dei danni subiti, quantificati in complessivi 520.000 euro, di cui 328.718,88 euro per violazione dell’esclusiva e 250.000 euro per la penale contrattuale prevista all’art. 12 del contratto. La società che concedeva l’esclusiva a H. negava ogni inadempimento, sostenendo che l’esclusiva riguardava solo alcuni prodotti e affermando che i lotti avariati erano stati sostituiti.
Il Tribunale di Venezia dichiara la risoluzione del contratto per inadempimento ma rigetta le domande risarcitorie di H. per mancanza di adeguata prova del danno.
In particolare, la CTU ha evidenziato l’impossibilità di calcolare il margine di utile perso, data la mancata produzione di documentazione contabile da parte di H. Analogamente, i giudici non hanno ritenute provate le spese relative ai prodotti avariati e sequestrati, né i presunti danni all’immagine. Il Giudice ha anche rigettato la domanda di pagamento della penale, ritenendo che la relativa clausola fosse riferita alla cessazione naturale del contratto e non alla sua risoluzione per inadempimento.

Ricorso in Cassazione e critica all’interpretazione del termine “expiration”

Conclusivamente, il Tribunale condanna H. a pagare 32.383,60 euro per forniture non saldate e compensa integralmente le spese di lite tra le parti, ponendo a carico dell’attrice le spese di CTU. Il successivo appello di H. viene dichiarato inammissibile e la vicenda viene sottoposta alla Corte di Cassazione.

Secondo la tesi di H: “l’interpretazione del contratto redatto in lingua inglese, concluso tra una parte italiana e una parte franco/spagnola, e soggetto alla legge italiana per espressa volontà dei contraenti, deve essere interpretato secondo i canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 ss. c.c. senza arrestarsi al significato letterale delle parole, sussistendo elementi di alienità che inducono a superare tale significato”.
In buona sostanza la società H. censura la sentenza “per aver ritenuto non azionabile, in caso di risoluzione per inadempimento del contratto di distribuzione […], la clausola penale ivi prevista per l’ipotesi di violazione del divieto di concorrenza, sulla base di una mera traduzione letterale, secondo l’accezione propria del diritto inglese, del termine ‘expiration’ contenuto nell’art. 12 del contratto, il quale deve invece essere interpretato, per espressa volontà delle parti, secondo la legge italiana, e dunque secondo il disposto degli artt. 1362 ss. c.c.”

Censura sull’uso di scienza privata e decisione del Tribunale

Con separata censura la società H. sostiene che il Giudice di merito avrebbe fondato la propria decisione sull’uso di scienza privata, attribuendo al termine inglese ‘expiration’ un significato tecnico-giuridico non fondato su elementi peritali o probatori. Si contesta che il significato attribuito al termine non possa essere considerato notorio e che il Giudice abbia indebitamente interpretato la clausola contrattuale sulla base di proprie conoscenze linguistiche.

I giudici rigettano entrambe le censure.
L’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico, si traduce in una indagine di fatto affidata al Giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale, non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma deve precisare in quale modo e con quali considerazioni il Giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata.

Differenza tra expiration e termination nella clausola penale

Infatti, il contratto inter partes, redatto in inglese e regolato dalla legge italiana, contiene una clausola che prevede una penale per la violazione dell’obbligo di non concorrenza dopo la cessazione (expiration) del rapporto. La parola di cui la ricorrente contesta l’interpretazione è appunto expiration, tradotta dal Tribunale come ‘scadenza naturale’ in aderenza al significato della parola in lingua inglese: “Con il termine inglese expiration si intende la cessazione del contratto alla sua naturale scadenza, senza che sia intervenuta una azione legale ad opera di una delle parti dell’accordo”.

Con la clausola de qua si è dunque inteso introdurre un ‘usuale patto di non concorrenza per la durata di un anno, valevole nel caso di naturale scadenza del contratto, e avente la funzione di regolare l’attività del distributore e del fornitore per il periodo successivo a tale cessazione del rapporto”. Il Tribunale ha ritenuto quindi che la clausola penale si applicasse solo in caso di scadenza naturale del contratto, non in caso di risoluzione per inadempimento, come quello attuale.

Responsabilità contrattuale e interpretazione linguistica

Tale interpretazione è corretta. Essa presuppone la messa a fuoco della differenza tra expiration (che fa segno alla scadenza per così dire naturale del rapporto contrattuale) e termination (che invece indica una serie di ipotesi distinte di scioglimento per così dire anticipato del vincolo contrattuale, tra cui quella che in lingua italiana si chiamerebbe ‘risoluzione per inadempimento’).
Ebbene, anche se una parte sottoscrive un contratto scritto in una lingua diversa dalla propria lingua madre, essa è tenuta a conoscere il significato di ciò che sottoscrive e deve imputare a se stessa il difetto di conoscenza (o di assistenza linguistico-giuridica all’atto della sottoscrizione, che in questo caso l’aiuti a cogliere la differenza tra expiration e termination).
La S.C. specifica che tenere presente la distinzione tra expiration e termination non significa sottoporre arbitrariamente al diritto inglese un contratto disciplinato dalla legge italiana; significa solo mantenerlo ancorato alla semantica della lingua in cui è scritto, nel presupposto che chi lo sottoscrive sappia ciò che sottoscrive.

Danno da inadempimento e valutazione equitativa

Per tale ragione non viene condivisa la tesi della società H: l’interpretazione sistematica e teleologica avrebbe dovuto prevalere sul significato letterale, specialmente considerando che la lingua contrattuale è una lingua terza rispetto a quella delle parti e della normativa applicabile. Il termine expiration, in tale contesto, avrebbe dovuto essere inteso come “cessazione”, comprensiva sia della scadenza naturale che della risoluzione per inadempimento. Semmai, è vero il contrario: proprio perché la lingua del contratto è terza rispetto a quella delle parti, l’unica interpretazione equidistante è quella ancorata al significato proprio di tale lingua.
Nel caso in parola non abbiamo a che fare con uno degli aspetti in cui l’autonomia privata è chiamata a conformare la disciplina processuale. Non lo sono quelli relativi al divieto di utilizzazione del sapere privato da parte del giudice e al fatto notorio, poiché non abbiamo a che fare con l’accertamento di esistenza dei fatti principali o secondari bisognosi di prova, bensì con l’attribuzione di significato ad una parola impiegata dalle parti nel testo del loro contratto, che è un elemento dell’operazione di interpretazione qualificativa di effetti giuridici, quindi disponibile dal giudice.

Prova del danno e rigetto della liquidazione equitativa

Ciò posto, sul mancato utilizzo della valutazione equitativa nella quantificazione del lucro cessante derivante dall’inadempimento si sostiene che, nonostante la CTU avesse evidenziato una perdita di fatturato significativa per H. a causa delle vendite realizzate da operatori concorrenti, il Giudice di merito avrebbe erroneamente escluso di poter liquidare il danno in via equitativa.
In altri termini, sempre secondo la società H, il Giudice di merito avrebbe dovuto svolgere la liquidazione del lucro cessante con equo apprezzamento delle circostanze del caso. Inoltre, parrebbe inadeguata la valutazione della CTU, la quale evidenziava la perdita economica subita da H. a causa della concorrenza di terzi.

La Cassazione respinge anche queste argomentazioni.
È stato affermato che la società H. non ha fornito una prova sufficiente del danno. La sentenza ha escluso la possibilità di quantificare il danno in via equitativa, sostenendo che tale metodo è inapplicabile se la parte aveva la possibilità di fornire elementi di prova e non lo ha fatto.
Era necessaria la prova del danno specifico e, comunque, la quantificazione equitativa non può sostituirsi alla mancanza di documentazione probatoria.

Requisiti per la liquidare il danno in via equitativa e conclusione del giudizio

Difatti, secondo l’orientamento prevalente: “L’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa presuppone che sia dimostrata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo preciso ammontare, ciò che non esime, però, la parte interessata – per consentire al Giudice il concreto esercizio di tale potere, la cui sola funzione è di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno stesso – dall’onere di dimostrare non solo l’an debeatur del diritto al risarcimento, ma anche ogni elemento di fatto utile di cui la parte possa disporre”.
In conclusione, la Cassazione rigetta il ricorso.

Avv. Emanuela Foligno

Leggi anche:

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui