I casi in cui la valutazione equitativa del danno è censurabile (Corte di Cassazione, IV – Lavoro civile, ordinanza 26 dicembre 2024, n. 34490).
La liquidazione equitativa del danno può ritenersi sufficientemente motivata – ed è pertanto insuscettibile di sindacato in sede di legittimità – allorquando il Giudice dia congrue, anche se sommarie, ragioni del processo logico seguito
Tale valutazione è invece censurabile se sia stato liquidato un importo manifestamente simbolico o non correlato alla effettiva natura od entità del danno.
L’esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al Giudice di liquidare il danno in via equitativa diviene insindacabile in Cassazione quando la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, attraverso la specifica indicazione del processo logico e valutativo seguito.
La liquidazione equitativa del danno da demansionamento
In particolare, in tema di liquidazione equitativa del danno da demansionamento, si è di recente (Cass. n. 16595 del 20/06/2019) sottolineato che è sindacabile in sede di legittimità, come violazione dell’art. 1226 c.c. e, nel contempo, come ipotesi di assenza di motivazione, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, solo la valutazione del giudice di merito che non abbia indicato, nemmeno sommariamente, i criteri seguiti per determinare l’entità del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al quantum.
Il Giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in Cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l’esistenza del danno, determinandone anche l’entità in via equitativa, con processo logico-giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all’esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto (cfr., ex plurimis, Cass. n. 19778 del 2014; Cass. n. 4652 del 2009; Cass. n. 28274 del 2008; Cass. SS.UU. n. 6572 del 2006).
Riassumendo tali principi, cui la Cassazione dà continuità, la decisione in esame respinge le doglianze del lavoratore già beneficiario del ristoro del danno per demansionamento.
Il risarcimento del danno da illegittimo demansionamento
Nello specifico, la Corte d’appello di Reggio Calabria in riforma del primo grado, accoglieva la domanda relativa al risarcimento del danno da illegittimo demansionamento, rigettando le altre domande originariamente proposte dal ricorrente. Inoltre condannava Trenitalia spa al risarcimento dei danni quantificati nella misura del 30% di 1/12 della retribuzione percepita nel 2004 moltiplicata per il numero di mesi trascorsi dal febbraio 1993 alla data del ricorso introduttivo, il tutto oltre interessi e rivalutazione.
Con ordinanza n. 31778/2018 depositata il 7 dicembre 2018, la Corte di Cassazione, respinto il motivo di ricorso relativo all’accertamento del demansionamento, cassava con rinvio detta ultima pronuncia accogliendo il ricorso proposto da Trenitalia avendo la corte territoriale “proceduto alla liquidazione equitativa del risarcimento senza avere neppure preventivamente individuato quale danno, tra quelli allegati dal lavoratore, riteneva essere stato prodotto dall’inadempimento e senza rapportare il quantum del risarcimento all’effettiva entità di tale pregiudizio”.
La Corte di appello di Catanzaro, in sede di rinvio dalla Cassazione, con sentenza n. 1061/2021 pubblicata il 21/12/2021, in parziale accoglimento dell’appello proposto e in riforma della sentenza impugnata, ha condannato Trenitalia spa al risarcimento del danno in favore del lavoratore liquidato nella misura del 20% della retribuzione mensile percepita nell’anno 2004 moltiplicata per il numero di mesi trascorsi dal febbraio 1993 al 29 luglio 2004, oltre interessi e rivalutazione.
La Cassazione, come detto, dà atto che il lavoratore ha omesso di riportare puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente, le allegazioni in fatto, rilevanti ai fini di una corretta liquidazione del danno, svolte nel ricorso introduttivo e nei due atti di appello ed anche di allegare e/o indicare specificamente ove tali atti sono reperibili.
Il potere discrezionale del Giudice nella valutazione equitativa del danno
La liquidazione del danno è inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimazione, si esclude che l’esercizio del potere equitativo del Giudice di merito possa di per sé essere soggetto a controllo in sede di legittimità, se non in presenza di totale mancanza di giustificazione che sorregga la statuizione o di macroscopico scostamento da dati di comune esperienza o di radicale contraddittorietà delle argomentazioni.
L’esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al Giudice di liquidare il danno in via equitativa diviene, dunque, insuscettibile di sindacato in sede di legittimità quando la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, attraverso la specifica indicazione del processo logico e valutativo seguito.
Il Giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l’esistenza del danno, determinandone anche l’entità in via equitativa, con processo logico-giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all’esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto.
Avv. Emanuela Foligno