Per la Cassazione se l’infedeltà coniugale è alla base della crisi, può configurarsi un illecito civile. Ma l’azione risarcitoria può essere avviata solo in determinati casi

“Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri”. Lo prevede l’articolo 143 del codice civile che, nel successivo comma, annovera tra  gli obblighi reciproci che spettano ai coniugi, quello alla fedeltà.

Spetta al giudice, in base all’articolo 151 c.c.,  stabilire, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, se uno dei coniugi sia venuto meno a tale obbligo, accertando se sia stata proprio la violazione del dovere di fedeltà a determinare la crisi coniugale, oppure se la relazione extra coniugale sia intervenuta quando la coppia era già in crisi.

Nel secondo caso la separazione non è addebitabile al coniuge infedele; qualora invece il tradimento sia la causa scatenante della rottura, in base alla giurisprudenza della Corte di Cassazione si può configurare un vero e proprio illecito civile, tanto che il coniuge ‘leso’ ha diritto a chiedere il risarcimento del danno.

I doveri che spettano ai coniugi in virtù del matrimonio, infatti, secondo la Suprema Corte non sono di carattere esclusivamente morale, ma hanno natura giuridica  e l’interesse di ciascun coniuge nei confronti dell’altro alla loro osservanza ha valenza di diritto soggettivo.

Tuttavia affinché si configuri una responsabilità risarcitoria, oltre all’addebito della separazione è necessario che siano dimostrati la concreta violazione del dovere coniugale, la sussistenza del danno ingiusto e la prova del nesso causale tra violazione commessa e danno procurato.

In particolare l’infedeltà “per le sue modalità e in relazione alla specificità della fattispecie”, deve aver “dato luogo a lesione della salute del coniuge (lesione che dovrà essere dimostrata anche sotto il profilo del nesso di causalità)” oppure “per le sue modalità” deve aver  “trasmodato in comportamenti che, oltrepassando i limiti dell’offesa di per sè insita nella violazione dell’obbligo in questione, si siano concretizzati in atti specificamente lesivi della dignità della persona, costituente bene costituzionalmente protetto” (Cassazione civile, sentenza n. 18853/2011).

Riguardo la necessità del riconoscimento dell’addebito della separazione ai fini della richiesta risarcitoria la giurisprudenza non è univoca. La Cassazione, secondo un orientamento che trova conferma in varie pronunce recenti, sembrerebbe propendere per la possibilità dell’azione anche in mancanza di tale addebito.

Ma il Tribunale di Roma, con una sentenza del giugno 2015, ha invece preso le distanze da tale indirizzo disponendo che non può escludersi un rapporto di accessorietà tra addebito e domanda risarcitoria. Dal momento che deriva dalla violazione di specifici obblighi coniugali, il danno dovrebbe essere necessariamente azionato nell’ambito del giudizio di separazione con conseguente preclusione di un’azione successiva che potrebbe astrattamente porsi in contrasto con il giudicato già in precedenza formatosi sulla separazione.

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