“È palesemente irrealistico e contrario alla volontà del legislatore imporre al locatore/proprietario di un bene immobile di apporre al contratto di locazione una sorta di “clausole legali”, con finalità di prevenzione di delitti, per di più sanzionandolo con la perdita del bene nel caso della loro mancata apposizione”

La vicenda

Il Tribunale di Roma, in sede di appello aveva confermato il decreto con cui il G.i.p. aveva revocato il sequestro preventivo di un immobile, disponendone la restituzione ai suoi proprietari.

Il sequestro era stato precedentemente disposto dallo stesso G.i.p. nei confronti di quattro imputati, tutti accusati del delitto di ricettazione e commercio di prodotti con segni falsi, nella specie di scarpe, borse, portafogli e abbigliamento di varie marche, anche con allestimento di mezzi. Ed invero, l’immobile in questione era stato sequestrato perché adibito a luogo di custodia e confezionamento della merce contraffatta.

Contro l’ordinanza del Tribunale capitolino, il Pubblico Ministero presentava ricorso per Cassazione deducendone l’erroneità sotto il profilo di diritto inerente l’interpretazione (e, conseguente applicazione) dell’art. 474 bis c.p.p.

La questione giuridica

Si discute in ordine alla diligenza richiesta al terzo, estraneo al reato, per evitare la confisca dei beni di sua appartenenza che servirono o furono destinati alla commissione di alcuno dei reati di cui agli artt. 473 e 474 c.p. e per i quali l’art. 474 bis c.p. prevede la confisca obbligatoria.

Più in particolare, secondo il pubblico ministero la prova liberatoria richiesta dall’art. 474 bis, c.p. involge sia un momento soggettivo (l’assenza di prevedibilità), sia un momento oggettivo (l’assenza di un difetto di vigilanza); da ciò discende la conseguenza che il terzo estraneo potrà sottrarre i propri beni alla confisca soltanto quando dimostri la sussistenza di entrambi i requisiti, mentre la mancata dimostrazione dell’uno e/o dell’altro consoliderà la confisca.

Nel caso in esame, non era in discussione la prevedibilità da parte dei locatori della commissione dei reati nell’immobile di loro appartenenza.

Ma tale circostanza da sola non era sufficiente ad evitare la confisca, in quanto la “e” utilizzata dal legislatore mostra come la prova debba avere ad oggetto (non solo la non prevedibilità, ma) anche l’assenza di un difetto di vigilanza.

Ebbene, l’obbligo di vigilanza – a detta del Pm – andava attuato già al momento della stipulazione del contratto, con l’apposizione di specifiche clausole intese a inibire al conduttore di utilizzare l’abitazione allo stoccaggio e fabbricazione di merce contraffatta e che consentissero al proprietario di accedere all’abitazione anche con brevissimo preavviso – per controllare che l’abitazione non sia destinata a scopi penalmente illeciti.

«Ciò è palesemente irrealistico e verosimilmente contrario alla volontà del legislatore- affermano i giudici della Suprema Corte di Cassazione – dal momento che vigilare sull’uso della cosa significa imporre delle clausole imperative e dei ai contratti di trasferimento di detti beni, vietando cioè di affittare o noleggiare o dare in comodato beni potenzialmente utilizzabili per la contraffazione a soggetti che prevedibilmente useranno detti beni con modalità illecite e imponendo in ogni caso di vigilare sull’uso che viene fatta della cosa che è stata ceduta non in proprietà».

La soluzione

Al contrario, l’unica soluzione ammissibile è quella di segno opposto; “cioè, a seconda della natura del bene oggetto del trasferimento, il terzo proprietario che chiede la restituzione dovrà dimostrare di non aver potuto prevedere l’illecito impiego del bene nella misura in cui il rapporto contrattuale gli permetteva di prevederlo e di avere adempiuto all’obbligo di vigilanza nella misura in cui la legge e i contratti gli permettevano di vigilare sull’uso della cosa”.

Nel caso dell’appartamento dato in affitto e trasformato in laboratorio per la realizzazione di prodotti contraffatti: evidentemente il proprietario non può imporre un “uso lecito” dell’immobile e, nel rapporto contrattuale, la previsione della destinazione futura dell’appartamento sarà limitata alla sua destinazione a civile abitazione o a ufficio; allo stesso modo, la vigilanza possibile da parte del proprietario sarà quella prevista dalla legge e dal contratto”.

Ovviamente vi potranno essere casi particolari nei quali il difetto di vigilanza emergerà concretamente: ad esempio, segnalazioni dei vicini di rumori o emissioni particolari, decisamente incompatibili con l’uso dell’immobile a civile abitazione; ma non è ipotizzabile un nuovo obbligo di vigilanza derivante dalla previsione dell’art. 474 bis c.p.”.

Ne consegue che  “non è possibile imporre al locatore/proprietario di un bene immobile di apporre al contratto di locazione una sorta di “clausole legali”, con finalità di prevenzione di delitti, per di più sanzionato con la perdita del bene nel caso della loro mancata apposizione, in quanto ciò non è previsto dal legislatore ed esula dalla disciplina degli obblighi a carico delle parti di un contratto di locazione di bene immobile con finalità di civile abitazione”.

La redazione giuridica

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