Anestesista e sette medici rianimatori venivano rinviati a giudizio dinanzi al Tribunale di Vallo Della Lucania perché, in cooperazione colposa tra loro e con comportamenti di imprudenza, negligenza e imperizia, cagionavano per colpa la morte della paziente. La Cassazione rileva che in secondo grado non sono stati vagliati in maniera approfondita i temi che erano stati sottoposti ai giudici e non aveva appurato l’efficacia salvifica della condotta omessa dai medici (Cassazione penale, sez. IV, dep. 18/07/2024, n.29156).
I fatti
- L’anestesista dell’equipe medica che eseguiva il pomeriggio del 29/9/2010 l‘intervento chirurgico di osteo-sintesi della frattura del femore sinistro, per aver cagionato nel corso della operazione di intubazione della paziente una lesione iatrogena delia trachea (lesione che veniva formalmente diagnosticata qualche ora dopo, segnatamente il 30/9/10 alle ore 1.35 di notte) a causa della quale già dalla sera del 29/9/10 si verificava un enfisema sottocutaneo al collo, al volto e al torace che ne determinava alle ore 2.00 di notte del 30/9/10 il trasferimento d’urgenza dal reparto di ortopedia a quello di rianimazione.
- Gli altri 7 imputati, tutti medici rianimatori dell’Ospedale di Vè, che hanno tenuto in cura la donna durate il ricovero (ricovero avvenuto alle 2 di notte del 30 settembre del 2010 che è terminato con il decesso avvenuto alle ore 23 del 10 ottobre del 2010), per avere omesso, nonostante fossero a conoscenza del fatto che la paziente aveva un enfisema sottocutaneo al torace e al collo, e nonostante le sue condizioni si stessero aggravando, di effettuare con urgenza una fibroscopia alle vie respiratorie (che effettuavano solo in data 8 ottobre 2010, che confermava la presenza della fistola tracheo-esofagea) e per aver comunque omesso di trasferire con urgenza la donna, una volta stabilizzate le sue condizioni cliniche, in un centro di chirurgia toracica per la chiusura della suddetta fistola tracheo-esofagea.
I giudizi di merito
Il Giudice di primo grado dichiarava tutti gli imputati responsabili del reato loro ascritto e, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, li condannava alla pena condizionalmente sospesa di un anno e quattro mesi di reclusione ciascuno (ad eccezione dell’anestesista presente in sala operatoria per il quale veniva applicata la pena di otto mesi di reclusione), oltre al pagamento delle spese processuali. Gli imputati venivano, altresì, condannati al risarcimento dei danni, in favore della costituita parte civile, da quantificarsi in separata sede, nonché al pagamento di una provvisionale di 150.000 euro.
La Corte di Appello di Salerno (sent. 20/10/2022), in riforma della sentenza impugnata, ha assolto il dott. A.N. (facente parte dell’equipe) perché il fatto non costituisce reato e ha dichiarato non doversi procedere per l’intervenuta prescrizione del reato quanto agli altri imputati, confermando le statuizioni civili e condannandoli in solido alla rifusione delle spese del grado alla costituita parte civile.
Tutti i soccombenti hanno proposto ricorso per Cassazione, in relazione all’intervenuta conferma delle statuizioni civili e al travisamento della prova.
Le consulenze medico-legali
Già in primo grado, il Tribunale rilevava divergenze delle conclusioni del Consulente del P.M. e di quello della difesa. In appello veniva disposta la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per il riesame dei due Periti su due circostanze specifiche:
- se l’aria avesse cominciato a passare dalla trachea al mediastino prima, durante o dopo l’intervento chirurgico al femore.
- Quando la paziente poteva essere trasportata presso un centro di chirurgia toracica e, in caso positivo, se il tempestivo trasporto con successivo intervento di chiusura della fistola le avrebbe salvato la vita.
Il travisamento della prova denunciato alla Cassazione censura la motivazione della Corte di appello, all’esito della disposta rinnovazione dibattimentale:
- sull’iter causale che condusse alla morte in relazione alla sequenza causale mediastinite-polmonite- ARDS, con probabilità prevalente che la ARDS sia stata causata secondo quanto sostenuto dal consulente della difesa in primo grado da una polmonite ab ingestis.
- Circa il potere salvifico dell’intervento di chiusura della lesione tracheale, all’esito dell’esame dei periti in appello.
Le diverse conclusioni delle consulenze
I Giudici di secondo grado affermano che la ARDS è stata determinata da due distinte cause, una polmonite ab ingestis e una polmonite secondaria a mediastinite, sottolineando che la prima avrebbe avuto un’efficienza concausale minore, riprendendo le dichiarazioni rese da uno dei due Periti (“… il prof. ha chiarito che la paziente ha contratto prima una mediastinite, che risulta da un dato oggettivo … che in tutte le TAC effettuate alla p.o. dal 30.9 al 7.10 da cui si evince che la stessa aveva aria nel mediastino- ed. pneumamediastino che non è scomparso ma è andato lentamente a ridursi- che sempre determina una infiammazione del mediastino- cd. mediastinite o patologia mediastinica- che poi si è propagata ai polmoni in una polmonite ed. da mediastinite…”.
“… il radiologo non ha direttamente scritto mediastinite perché durante la tac la presenza di aria nel mediastino può mascherare lo stato infiammatorio del mediastino stesso …”. “il pneumomediastino e tutto quello che si è creato in seguito alla fistola può determinare patologia mediastinica e comunque ARDS. L’ARDS io la metto più in collegamento con la fistola tracheoesofagea … e l’eventuale infiammazione mediastinica visto il pneumomediastino che c’è e quindi l’ARDS“.
Il suddetto Perito, quindi nel riesame, non afferma che il pneumomediatino causa sempre la mediastinite, ma che può causarla, concludendo quindi con un giudizio non di probabilità, come tale inidoneo a sorreggere un giudizio di penale responsabilità.
Il secondo Perito, nel riesame, afferma che l’esame autoptico nulla dice sul punto e si rimette alle conclusioni del professore primo Perito.
Il ricorso in Cassazione
I ricorrenti si dolgono del fatto che la Corte non avrebbe esplorato il tema delle linee-guida che regolano la materia e che non vi sarebbe nesso di causalità tra la condotta – ritenuta gravemente imperita – e l’evento, da cui è stata comunque desunta l’esistenza di un danno ingiusto, con conferma delle statuizioni in favore della parte civile.
Secondo i ricorrenti, anche nella ipotesi in cui la paziente fosse stata trasferita e sottoposta ad intervento chirurgico toracico presso l’Ospedale Cardarelli l’exitus non sarebbe stato scongiurato, avendo la stessa già contratto una polmonite ab ingestis (e non una polmonite da mediastinite, come ritenuto dai Periti del tribunale), dovuta agli acidi gastrici trascorsi in trachea a seguito dell’episodio di vomito che la paziente aveva avuto, alle 2.00 del mattino, antecedentemente al suo trasferimento nel reparto di rianimazione.
Secondo la loro tesi, bisognerebbe verificare il buon governo delle regole che presiedono all’accertamento del nesso eziopatogenetico in relazione all’accertata causa della morte. Ricordano che è necessario accertare, con estremo rigore, quale sia stata la causa della morte e, solo all’esito, quale omissione sia, effettivamente, stata consumata perché l’affermazione che l’ARDS – causa ultima del decesso – sia stata determinata, oppure concausata, dalla mediastinite cozzerebbe con le evidenze dei dati laboratoristici, strumentali, autoptici e anatomopatologici.
Il vaglio della Suprema Corte
La Cassazione innanzitutto dà atto del fatto che i Giudici di appello avrebbero dovuto valutare con la regola penalistica dell’oltre ragionevole dubbio se gli imputati dovessero essere mandati assolti dal reato loro imputato a fronte di una prova insufficiente. Già per questa ragione la sentenza di secondo grado è meritevole di annullamento.
Il Collegio di appello avrebbe dovuto valutare, sotto il profilo dell’eventuale insufficienza o contraddittorietà della prova – cui avrebbe dovuto eventualmente fare seguito una pronuncia di assoluzione, con il conseguente venir meno anche delle statuizioni civili – innanzitutto la sussistenza del nesso di causalità materiale tra le condotte addebitate agli imputati e il decesso della persona offesa. Poi, con l’utilizzo della regola penalistica dell’oltre ogni ragionevole dubbio, avrebbe dovuto procedere al giudizio controfattuale, ovvero dare conto della natura salvifica o meno di una più sollecita fibroscopia e di un altrettanto sollecito trasferimento della paziente in un centro di chirurgia toracica per la chiusura della fistola tracheoesofagea. Inoltre, come si dirà, avrebbe dovuto meglio confrontarsi con le argomentazioni difensive, supportate dal CTP, secondo cui quella conservativa e attendista posta in essere avrebbe costituito opzione terapeutica altrettanto valida rispetto a quella chirurgica.
L’evidenza del probabile dell’efficacia salvifica della condotta alternativa corretta
In sostanza, ricordano gli Ermellini, ciò che va verificato nel giudizio controfattuale è l’elevata credibilità logica o l’evidenza del probabile dell’efficacia salvifica della condotta omessa e alternativa corretta con l’obiettivo di raggiungere una certezza processuale che sia frutto dell’elaborazione delle evidenze disponibili.
Il rapporto di causalità tra omissione ed evento deve essere estraneo al mero coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di elevata probabilità logica, che, a sua volta, deve essere fondato, oltre che su un ragionamento deduttivo basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo circa l’efficacia salvifica della condotta omessa, elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e focalizzato sulle particolarità del caso concreto.
Difatti, le censure degli imputati, correttamente, lamentano che non siano stati adeguatamente scandagliati il tema della polmonite ab ingestis, della natura salvifica di un più sollecito trasferimento della paziente in chirurgia e dell’esistenza di linee guida che imponessero l’opzione chirurgica.
Conclusivamente, ed in sintesi, l’errore della Corte territoriale sarebbe quello di non avere vagliato in maniera approfondita i temi che le erano stati sottoposti, pur in presenza di un processo con parti civili, e quello della ritenuta applicabilità, a fronte della constatata prescrizione del reato e dell’assenza di evidenza dell’innocenza degli imputati che non hanno rinunciato alla prescrizione, della regola civilistica del più probabile che non.
La sentenza viene annullata con rinvio alla Corte di Napoli.
Avv. Emanuela Foligno