Incidente sul lavoro, presunto il danno morale per lo stretto congiunto

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La presunzione, in caso di incidente sul lavoro, trasferisce sul datore l’onere della prova contraria sul danno da perdita subito dal parente della vittima

Avevano agito in giudizio per ottenere il risarcimento del danno morale ed esistenziale subito in conseguenza della morte di un congiunto. Quest’ultimo era rimasto vittima di un incidente sul lavoro all’interno di un cantiere edile per la costruzione di un immobile ad uso abitativo.

I parenti si erano visti respingere la propria pretesa dai giudici del merito. La Corte d’appello, in particolare, aveva ritenuto che il cosiddetto danno da lesione parentale non fosse in re ipsa, ma richiedesse precise allegazioni e prove. Queste, nel caso di specie, erano del tutte mancate.

Il Collegio aveva rilevato, in particolare, che tra i ricorrenti (residenti in Tunisia) e il congiunto (deceduto in Italia) non vi fosse più alcuna convivenza. La lontananza si era protratta per molti anni senza alcun tipo di contatto con il defunto. Una circostanza, questa, che sarebbe stata significativa del venir meno di qualsiasi legame affettivo.

Nel ricorrere per cassazione, i familiari lamentavano che la Corte territoriale avrebbe dovuto attribuire rilevanza, ai fini del richiesto risarcimento, all’id quod plerumque accidit.

In particolare avrebbe dovuto considerare presunta la prova del danno non patrimoniale e ciò anche a prescindere dalla mancanza di convivenza tra i ricorrenti e l’uomo deceduto. A tal fine, avrebbe dovuto considerare quali fatti notori il legame affettivo e la sofferenza per la scomparsa del congiunto causata dall’ incidente sul lavoro.

La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 29784/2018, ha ritenuto di aderire alle argomentazioni proposte, accogliendo il ricorso in quanto fondato.

Secondo gli Ermellini, la Corte territoriale era incorsa nell’equivoco di identificare il danno non patrimoniale con il solo danno parentale. Inoltre aveva erroneamente attribuito rilevanza, al fine di negare il preteso danno da lesione parentale, alla mancanza di convivenza.

Per i Giudici del Palazzaccio, il danno non patrimoniale costituisce categoria unitaria non suscettiva di suddivisione in sottocategorie.

Nella liquidazione di qualsiasi pregiudizio non patrimoniale, il giudice di merito deve tener conto di tutte le conseguenze che sono derivate dall’evento di danno, nessuna esclusa. Ciò salvo il concorrente limite dì evitare duplicazioni risarcitorie, attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, e di non oltrepassare una soglia minima di apprezzabilità.

Sempre nell’ambito del danno patrimoniale suddetto può esservi, poi, un particolare profilo costituito dal danno da perdita del rapporto parentale. Tale danno va al di là del crudo dolore che la morte in sé di una persona cara provoca nei prossimi congiunti che le sopravvivono. Nello specifico, si concretizza “nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno.

La Cassazione chiarisce che la prova del danno da perdita dello stretto congiunto può essere data anche a mezzo di presunzioni.

La presunzione vale sostanzialmente a facilitare l’assolvimento dell’onere della prova da parte di chi ne è onerato, trasferendo sulla controparte l’onere della prova contraria. La morte di un prossimo congiunto costituisce di per sé un fatto noto dal quale il giudice può desumere che i familiari stretti dello scomparso abbiano patito una sofferenza interiore tale da determinare un’alterazione della loro vita di relazione e da indurli a scelte di vita diverse da quelle che avrebbero altrimenti compiuto.

Pertanto, nel giudizio di risarcimento del relativo danno non patrimoniale incombe al danneggiante dimostrare l’inesistenza di tali pregiudizi. Una prova del genere non può, evidentemente, consistere, nella mera mancanza di convivenza, atteso che il pregiudizio presunto, proprio per tale legame e le indubbie sofferenze patite dai parenti, prescinde già, in sé, dalla convivenza. La mancanza di quest’ultima, quindi, non può rilevare al fine di escludere o limitare il pregiudizio, bensì al solo fine di ridurre il risarcimento rispetto a quello spettante secondo gli ordinari criteri di liquidazione.

 

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