L‘Istituto assicurativo ha chiarito in una circolare che l’infezione Covid-19 è da considerarsi causa violenta subita in occasione di lavoro, come da definizione legale di infortunio

Tabellare l’infezione Covid-19 tra le cause di infortunio e malattie professionali (quando, in quest’ultimo caso, ricorrono i requisiti di legge). Lo aveva chiesto lo scorso 15 marzo l’AADI, Associazione Avvocatura degli Infermieri, chiarendo la differenza tra malattia, intesa come ogni evento morboso che sia incompatibile con la specifica attività lavorativa svolta dal prestatore di lavoro, e l’infortunio, ovvero ogni causa violenta subita in occasione di lavoro da cui sia derivata la morte o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilità temporanea assoluta che importi l’astensione dal lavoro per più di tre giorni

Una richiesta, quella dell’AADI, scaturita dalla considerazione che, per radicata e granitica giurisprudenza, l’INAIL considera anche la causa microbica quale generatrice di infortunio. Al riguardo, infatti, la sentenza n. 6390/1998 della Corte di Cassazione stabilisce che “la causa violenta da infortunio, ai sensi dell’art. 2, D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, è da considerarsi anche se dovuta all’azione di fattori microbici o virali che penetrando nell’organismo umano e ne determinano l’alterazione dell’equilibrio anatomico – fisiologico, sempre che tale azione, pur se i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo, sia in rapporto (accertabile anche con ricorso a presunzioni semplici) con lo svolgimento dell’attività lavorativa”.

L’Associazione Avvocatura degli Infermieri aveva quindi annunciato ogni supporto, anche legale, per i danni sofferti dai propri assistititi a causa dell’infezione COVID-19 sul lavoro, nel caso in cui fosse considerata come malattia INPS anziché come infortunio INAIL  

L’INAIL, con una circolare del 18 marzo, ha confermato l’interpretazione dell’AADI.

Nello specifico ha stabilito che anche l’infezione virale è da considerarsi causa violenta come da definizione legale di infortunio. L’Istituto ha inoltre chiarito che il nesso causale, indispensabile per ottenere la tutela INAIL, è presunto e si deduce dalle stesse mansioni svolte dal lavoratore e dalla sua assegnazione di servizio (si tratta di praesumptio iuris tamtum e non iuris et de iure) e quindi è come se fosse tabellata.

Il medico di base, quindi, ha l’obbligo di redigere la denuncia di infortunio su semplice richiesta del lavoratore. Quest’ultimo dovrà trasmettere anche via pec, al datore di lavoro, la copia di denuncia rilasciata dal medico di base denominata “copia per il datore di lavoro”;

Non si è invece qualificabile come infortunio il semplice isolamento/quarantena preventiva senza manifestazione dei sintomi, laddove non sussista la prova di essere infetti (è malattia INPS). Al contrario si è in presenza di infortunio in caso di isolamento/quarantena positiva con esito positivo del tampone. Infine, l’INAIL ha specificato che è infortunio anche se ci si infetta durante l’itinere casa-lavoro e viceversa. Si ritiene, quindi, che il datore abbia l’obbligo di effettuare il tampone quando dispone l’isolamento; diversamente si ostacolerebbe il diritto del lavoratore alla tutela antinfortunistica e all’eventuale equo indennizzo (oltre agli effetti sul comporto e sulla visita fiscale).

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