Infezione meningea dopo dieci giorni dalla nascita (Cassazione civile, sez. III, dep. 22/02/2023, n.5489).

Infezione meningea contratta dal neonato dieci giorni dopo la nascita.

La coppia, in occasione del concepimento del loro primo figlio si rivolgeva al Ginecologo di fiducia che, dopo la rottura prematura della prima membrana, li aveva indirizzati presso la Clinica convenuta a giudizio.

Il parto avveniva naturalmente e senza complicazioni ma, immediatamente dopo, si manifestavano disturbi respiratori trattati con ossigenoterapia in maschera cui seguiva l’immediato trasferimento in ambiente specialistico presso altra Struttura.

Pur stabilizzandosi le condizioni da “distress” respiratorio, dopo 10 giorni dalla nascita il bambino contraeva infezione meningea a seguito della quale erano insorte patologie invalidanti e ulteriori, conseguenti gravissimi postumi, quali idrocefalia, tetraparesi spastica, ritardo psicomotorio.

La coppia, pertanto, riteneva responsabile il Ginecologo per non aver consigliato, trattandosi di parto prematuro, un’idonea struttura sanitaria pubblica; riteneva altresì responsabile la clinica privata per non aver gestito idoneamente il trasferimento del neonato, e, infine, la Struttura ospedaliera per non avere impedito la contrazione dell’infezione.

Il Tribunale accoglieva la domanda nei confronti della Clinica  e della Struttura Ospedaliera, dichiarandole responsabili in solido dei danni . Successivamente, la Corte di appello confermava tale decisione, evidenziando in particolare:

– la sussistenza del nesso causale con le omissioni della clinica, e dunque dei suoi dipendenti, era stata correttamente affermata in prime cure, perché le condizioni in cui il neonato era stato trasportato presso l’ospedale, senza alcuna indagine, senza assistenza medica che potesse valutarne il decorso clinico, e senza riportare alcuna indicazione dei valori essenziali, aveva fatto sì che il neonato arrivasse presso la struttura pubblica in condizioni generali molto compromesse, con significativo aumento della probabilità di contrazione della successiva e poi intervenuta infezione nosocomiale, nella misura che, secondo l’elaborazione peritale disposta, era quantificabile nel 15-20%, come del resto verosimile per un soggetto in acuita immunodeficienza.

La Clinica privata impugna in Cassazione.

La Corte di Appello avrebbe errato nell’applicare la regola eziologica civilistica del “più probabile che non”, poiché la relazione dei CTU affermava che “il sovrapporsi dell’infezione meningea, ad appena 8-9 giorni dalla nascita, ebbe a coprire il quadro clinico determinato dal “distress” respiratorio e, soprattutto, non ci consente di poter attribuire gli attuali esiti al “distress” respiratorio in quanto l’infezione delle meningi in un neonato prematuro, assistito correttamente ed adeguatamente sin dalla nascita, avrebbe dato, con criterio di elevata probabilità, gli stessi esiti”,  laddove l’incremento statistico della possibilità di contrarre quell’infezione nella misura del 15-20% non permetteva di concludere affermando il nesso eziologico.

La censura è fondata.

La Corte territoriale, sulla scorta della CTU, ha accertato che:

– la causa dell’evento lesivo fu l’infezione nosocomiale contratta presso la struttura pubblica dichiarata responsabile;

– quanto alla condotta omissiva della clinica privata, “un tal tipo di infezione avrebbe potuto colpire qualsivoglia neonato prematuro fosse stato ricoverato all’epoca – e tutt’ora – in un reparto di terapia intensiva neonatale, ma, nel caso in esame, si può solo ritenere per mera esperienza clinica che un tal tipo di infezione nosocomiale si è potuta manifestare con una incidenza probabilistica maggiore e rapportabile ad un 15-20% rispetto ad altro neonato prematuro che non avesse sofferto del “distress” respiratorio per il “comportamento professionale” tenuto dai medici che, in precedenza” erano stati incaricati “.

Da tali accertamenti è scaturito il ragionamento,  ancorato a una probabilità non solo statistica, ma logica, per cui una condotta omissiva, prima che colposa, che aveva acuito la condizione d’immunodeficienza, non poteva ritenersi esente dalla riferibilità eziologica.

Nella specie in esame, l’indicazione d’incremento statistico della contrazione dell’infezione meningea è stata fondata sulla maggiore immunodeficienza derivante dalle omissioni della clinica, ovvero il medesimo fattore logico da cui gli stessi periti d’ufficio hanno desunto, “per mera esperienza clinica”, l’indicata percentuale del 15-20%. In altri termini, probabilità logica e statistica qui finiscono per sovrapporre concretamente le proprie basi ricostruttive, e la complessiva risultanza è nel senso che nell’80-85% dei casi, nelle stesse condizioni di trasmissione e ricezione, l’infezione meningea sarebbe stata egualmente contratta. Quindi, seguendo il ragionamento controfattuale,  era molto “più probabile che non” – statisticamente quanto logicamente – che l’infezione sarebbe comunque insorta  in un soggetto connotato da una strutturale immunodeficienza, anche non acuita, quale quella di un neonato prematuro.

Conclusivamente, la S.C. accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri, cassa in relazione la decisione impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda nei confronti della ricorrente.

Avv. Emanuela Foligno

Sei vittima di errore medico o infezione ospedaliera? Hai subito un grave danno fisico o la perdita di un familiare? Clicca qui o chiamaci al 800 332 771

Leggi anche:

Revisione protesi al ginocchio e infezione nosocomiale

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui