Lavoratore in malattia e licenziamento legittimo per comportamenti incompatibili con il suo stato di salute (Cass. civ, sez. lav., 12 maggio 2023, n. 12994).
Licenziato il lavoratore che ha tenuto nel periodo di malattia comportamenti incompatibili con il proprio stato di salute.
La Corte d’appello di Catania rigettava l’impugnazione del licenziamento per giusta causa intimato al lavoratore, sulla previa contestazione di simulazione dell’infortunio occorsogli sul luogo di lavoro (che gli aveva cagionato un trauma alla caviglia sinistra) o comunque di aggravamento dello stato di malattia (dal 5 gennaio al 5 giugno 2017, dall’8 agosto al 15 settembre 2017 e ancora dal 20 febbraio al 19 gennaio 2018) ed ostacolatone la guarigione, per le condotte contrarie ai doveri di diligenza, fedeltà, correttezza e buona fede – specificamente addebitate per il periodo dal 7 agosto al 5 settembre 2018 – con sottrazione illegittima alla prestazione lavorativa ed abuso del beneficio concesso dalla legge, integrante ipotesi di truffa in danno dell’impresa datrice e dell’Inail: così riformando la sentenza di primo grado, che aveva invece accolto l’impugnazione del lavoratore.
Il Tribunale, invece, aveva qualificato illegittimo il licenziamento per insussistenza dei fatti contestati in assenza di prescrizioni mediche che limitavano il lavoratore nei movimenti, o negli spostamenti, o nelle attività quotidiane, ma soltanto di un periodo di riposo e cure.
In sintesi la Corte di Appello ha ritenuto che nel rispetto dei doveri di fedeltà, correttezza e buona fede, il lavoratore non deve tenere comportamenti che ritardino la guarigione. I Giudici di Appello, inoltre, sulla base di investigazioni private datoriali nell’arco temporale contestato, hanno considerato come il lavoratore abbia tenuto comportamenti (di protratta stazione eretta; di guida di auto, scooter o moto; di scarico e carico di scatoloni; di spazzamento del marciapiedi antistante l’esercizio commerciale intestato ai familiari; di ripetuti spostamenti a piedi; di montaggio con altri di un portabagagli sulla propria vettura; di carico e scarico di materiale edile), integranti una condotta incauta.
Il lavoratore ricorre in Cassazione contestando l’inversione dell’onere probatorio, spettante al datore di lavoro in funzione del recesso per giusta causa intimato, anziché al lavoratore, sul presupposto del non avere egli “svolto alcuna attività lavorativa diversa da quelle che sono le normali attitudini di vita quotidiana/familiare né abbia svolto attività ludiche ricreative” e travisamento delle prove.
Le doglianze sono ritenute inammissibili.
La Suprema Corte rammenta che lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, configura violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede, oltre che nell’ipotesi in cui tale attività esterna sia, di per sé, sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la stessa, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio.
Ciò ribadito, grava sul datore di lavoro la prova che lo stato di malattia sia simulato, oppure ovvero che l’ attività lavorativa extra sia potenzialmente idonea a pregiudicare o ritardare il rientro in servizio del dipendente- E’ il datore di lavoro, infatti, che deve dimostrare tutti gli elementi posti alla base del licenziamento.
La Corte territoriale ha correttamente applicato i sopra richiamati principi di diritto.
Le censure del lavoratore si risolvono nell’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del Giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione.
Il ricorso viene integralmente respinto.
Avv. Emanuela Foligno
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