Intervento di chirurgia toracica e infezione da HCV (Cassazione civile, sez. III, 03/03/2023, n.6450).

Contrae infezione da HCV a causa di emotrasfusione nel corso di intervento di chirurgia toracica.

Il paziente cita a giudizio il Policlinico e il Ministero della Salute per il contagio da HCV contratto a causa di una emotrasfusione con sangue infetto avvenuta presso l’ospedale convenuto, cui veniva sottoposto in occasione di un intervento di chirurgia toracica resosi necessario a causa di un grave sinistro stradale.

Il Tribunale rigettava la domanda. La Corte d’appello di Bari, in riforma della decisione di primo grado, condannava i convenuti al pagamento della somma di Euro 2.744,00, pari al danno da invalidità temporanea totale e parziale accertato, rigettando la domanda volta al risarcimento del danno biologico permanente.

La Corte di merito ha affermato che doveva essere riconosciuto il nesso di causalità tra l’epatite HCV contratta e la trasfusione, la cui sacca di sangue non era stata correttamente identificata. Per quanto concerne il risarcimento, i Giudici di appello ritenevano il paziente completamente guarito dalla malattia a seguito delle terapie e liquidava, esclusivamente, 8 gg. di invalidità temporanea totale e 40 gg.  di invalidità temporanea al 50%.

Il paziente ricorre in Cassazione lamentando la violazione e falsa applicazione dell’art. 2059 c.c., in relazione all’errata indicazione del periodo di invalidità e alla errata liquidazione del danno sofferto, per mancato riconoscimento del danno biologico, del danno morale e del danno esistenziale.

Nello specifico, il ricorrente, contesta l’affermazione di piena guarigione dalla malattia riscontrata, sottolineando che il virus HCV ha come sua caratteristica quella di essere causa di una malattia epatica cronica, con evoluzioni e manifestazioni esterne che possono emergere anche a molti anni di distanza dalla causa. Il ricorrente chiede, pertanto, che la sentenza venga cassata per la mancanza di valutazione del danno biologico e del danno morale effettivamente sofferti, che non possono certo considerarsi soddisfatti dalla liquidazione del danno corrispondente ai giorni di invalidità temporanea.

Le censure risultano fondate.

La particolarità della vicenda qui in esame risiede nel fatto che dalla patologia di virus da HCV, che rese necessario un intenso periodo di cura, portato a termine con un ricovero ed una successiva prolungata terapia, il paziente è completamente guarito, come avviene, sebbene in una percentuale assai ridotta di casi, senza che dall’esperienza negativa subita derivino né conseguenze permanenti, né la necessità di adottare particolari precauzioni per evitare il riaffacciarsi della malattia. Il ricorrente, non mette in discussione la sua completa guarigione, bensì la irrisoria liquidazione del danno, di cui denuncia l’inadeguatezza a coprire sia le sofferenze morali, che le limitazioni fisiche patite in ragione del virus e della pesante terapia cui si è dovuto sottoporre per eliminarla, ed in particolare l’omessa considerazione dell’intero decorso della malattia per il più ampio arco di tempo durante il quale il signor si è dovuto sottoporre a trattamento farmacologico antivirale e delle sofferenze morali e psicologiche patite a seguito della scoperta del contagio.

Ebbene, nell’effettuare la quantificazione del danno non patrimoniale, i Giudici di appello non si sono attenuti al corretto procedimento:

1) accertare l’esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale;

2) in caso di positivo accertamento dell’esistenza (anche) di quest’ultimo, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano, che prevedevano, fino al giugno dello scorso anno, la liquidazione congiunta di entrambe le voci di danno;

3) in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno (accertamento da condurre caso per caso), considerare la sola voce del danno biologico, liquidando, conseguentemente, il solo danno dinamico-relazionale;

4) in caso di positivo accertamento dei presupposti per la cd. personalizzazione del danno alla salute, in relazione a circostanze eccezionali e specifiche del caso concreto, procedere all’aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico.

Nella motivazione della sentenza impugnata non vi è traccia dei sopra indicati necessari passaggi logici; evidentemente la Corte territoriale, errando, attesa la completa guarigione del ricorrente, e quindi la mancanza di una lesione permanente della salute, ha ritenuto sostanzialmente insussistente il danno morale, correlato alla sofferenza interiore legata all’insorgere della malattia.

Il danno biologico riportato dal ricorrente deve, quindi, essere rideterminato tenendo in considerazione che l’inabilità totale non è limitata ai sette giorni di ricovero, ma deve rapportarsi all’intero arco di tempo tra la diagnosi della malattia (8 luglio 2006) e la successiva data di inizio della terapia, caratterizzata prima dal ricovero e poi dalla attesa del malato, considerate le sue condizioni complessive di salute legate agli esiti di un complesso intervento di chirurgia toracica (10.10.2006). Altresì deve essere considerato che la durata del trattamento farmacologico praticato per il trattamento in fase acuta della epatite C, che ne ha consentito la completa remissione, deve stimarsi nella misura più ampia di sei mesi, ritenuta congrua dalla letteratura scientifica riportata nella CTU per il superamento della malattia.

Per tali ragioni la sentenza viene cassata con rinvio e dovrà rispettare le indicazioni fornite dalla Suprema Corte riguardo la liquidazione del danno non patrimoniale.

Avv. Emanuela Foligno

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