Revisione protesi del ginocchio e infezioni nosocomiali (Cassazione civile, sez. III, dep. 29/11/2022, n.35058).
Revisione protesi del ginocchio e omessa applicazione dei protocolli sulle infezioni nosocomiali.
Il paziente citava dinanzi al Tribunale di Roma l’Azienda Ospedaliera per ottenerne la condanna risarcitoria per l’errata gestione dei trattamenti sanitari, per inadempimento all’obbligo di consenso informato e per mancato rispetto dei protocolli sulla prevenzione delle infezioni nosocomiali.
Nello specifico, a seguito di un incidente stradale l’uomo era stato ricoverato più volte presso tale Struttura e aveva subito una serie di interventi chirurgici: riduzione e sintesi di fratture alla tibia e al perone della gamba sinistra; meniscopatia del ginocchio sinistro; rimozione di placca; rimozione di materiale purulento e inserimento di spaziatore antibiotato; rimozione dello spaziatore e di protesizzazione articolare.
Il Tribunale condannava l’Azienda Ospedaliera a risarcire al paziente l’importo di euro 124.437,46, oltre spese di lite e di CTU.
La Struttura proponeva appello e la Corte di Roma accoglieva il gravame rigettando la domanda risarcitoria del paziente e condannandolo alle spese dei due gradi di giudizio e di CTU.
L’uomo ricorre in Cassazione lamentando, per quanto qui di interesse, l’illogicità della decisione d’appello che da un lato ha escluso la responsabilità della Struttura ospedaliera e, dall’altro, evidenzia “evidenti e gravi responsabilità nell’intera gestione del paziente durante i sei anni di cure, ricoveri ed interventi……. e che “la sepsi articolare va ritenuta certamente iatrogena, per scarsa sterilità chirurgica”.
Su tali presupposti, però, il Giudice d’appello avrebbe dedotto: “ciò posto, essendo mancata in riferimento a uno degli interventi la stessa allegazione di una condotta non rispettosa dei protocolli sulla prevenzione da infezioni da sala operatoria, e cioè la deduzione di una inadempienza specifica, astrattamente idonea alla produzione del danno, siffatta inadempienza non poteva essere indagata dal CTU, né poteva essere posta dal primo Giudice a fondamento della condanna a carico dell’azienda ospedaliera”.
Gli Ermellini evidenziano che il primo Giudice, di cui quello d’Appello mediante un’ampia trascrizione ha riportato la gran parte della pronuncia, nei “fatti di causa” aveva osservato che il paziente aveva chiesto “il risarcimento dei danni patiti… in conseguenza dell’erronea gestione dei trattamenti sanitari eseguiti ed in particolare dell’erronea strategia diagnostica e/o terapeutica e/o chirurgica” tenuta in occasione dei cinque interventi, puntualmente elencati. Il Tribunale, come pure risulta dalla trascrizione della corte territoriale, aveva altresì rilevato che l’attore lamentava “che all’esito di tutti tali interventi aveva riportato gravi esiti invalidanti”, i quali poi gli avevano reso necessario un sesto intervento in una struttura diversa.
Il primo Giudice aveva poi descritto le inadempienze del Policlinico affermando che non si erano rispettati “i protocolli sulla prevenzione delle infezioni di sala operatoria” e indicando altre inadempienze per ciascuna delle operazioni successive, assumendo anche che era stata effettuata la rimozione dei mezzi di sintesi “precocemente”.
Complessivamente, però, era stata prospettata dall’attore una erronea sequenza unica dal primo intervento in poi nel trattamento che aveva ricevuto dai sanitari del Policlinico: il che era stato ben percepito proprio dalla parte convenuta, la quale si era costituita resistendo e specificamente contestando “la non riconducibilità dell’insorgenza dell’infezione da stafilococco aureus ai primi tre interventi atteso che l’infezione veniva rilevata per la prima volta successivamente, sulla base di ciò negando la sussistenza di nesso causale “tra i danni lamentati e gli interventi chirurgici eseguiti correttamente”.
La Corte territoriale ha accolto il primo motivo d’appello, ove il Policlinico aveva imputato al Tribunale di avere deciso in base ad una CTU che gli avrebbe fornito “elementi di prova nuovi, relativi ad un inadempimento non allegato”, in quanto il mancato rispetto dei protocolli sulla prevenzione delle infezioni da sala operatoria sarebbe stato allegato solo per il quarto intervento.
La Corte ha condiviso questi asserti, affermando che l’attore non può limitarsi ad allegare “un inadempimento, quale che esso sia”, occorrendo una inadempienza “astrattamente efficiente alla produzione del danno”, e che a sua volta “il Giudice non può porre a fondamento della decisione fatti che non siano stati allegati dalle parti”, per cui neppure il CTU può indagare su fatti dalle parti non allegati.
In buona sostanza, l’attore non avrebbe mai allegato in primo grado una specifica inadempienza dell’Azienda ospedaliera agli obblighi di prevenzione delle infezioni nosocomiali in riferimento all’intervento di rimozione dei mezzi di sintesi effettuato.
In realtà, come rileva il ricorrente, il contenuto sia nell’atto di citazione sia della memoria trascritta nella sentenza aveva fornito proprio l’allegazione di una inadempienza specifica, astrattamente idonea alla produzione del danno, per tutti gli interventi chirurgici in rapporto ai protocolli di prevenzione delle infezioni da sala operatoria.
D’altronde, se tale inadempimento non fosse stato già correttamente allegato fin dall’atto di citazione, non si spiegherebbe neppure perché il Policlinico fin dalla comparsa di risposta in primo grado si era difeso in modo puntuale anche a proposito della prospettata infezione in relazione all’intervento indicato.
Dunque, il paziente aveva allegato un inadempimento ictu oculi specifico, adeguatamente “vestito”, in relazione alle infezioni acquisibili in sala operatoria; che poi abbia argomentato soprattutto su un altro intervento, non può far venir meno tale ben formata allegazione complessiva. Diffondersi in particolare su una parte di quanto allegato è del tutto ovvio che non significa rinunciare al resto dell’allegazione.
Oltre a ciò il Giudice di appello è incorso in contraddittorietà motivazionale in quanto da un lato ha trascritto gran parte della memoria dell’attore che inequivocamente coltiva la questione della sepsi in sala operatoria in modo globale per tutte le operazioni, e dall’altro ha affermato, in modo alquanto assertivo, che l’unica allegazione di condotta non rispettosa dei protocolli diretti alla prevenzione delle infezioni sarebbe stata apportata per un unico intervento, pretermettendo così elementi ben evidenziati anche nella suddetta memoria, e proprio sulla base di questo “neutralizzando” pure la CTU e pervenendo, con palese erroneità, alla riforma della prima sentenza.
Ciò conduce La Suprema Corte all’accoglimento del ricorso, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa sezione e diversa composizione.
Avv. Emanuela Foligno
Sei vittima di errore medico o infezione ospedaliera? Hai subito un grave danno fisico o la perdita di un familiare? Clicca qui o chiamaci al 800 332 771
Leggi anche: