Accertata la responsabilità dell’imputato non in relazione alla mancata previsione dell’uso della doppia piattaforma, ma con riferimento alla omessa disposizione che tale previsione fosse osservata in concreto (Cassazione penale, sez. IV, sentenza n. 16148 depositata il 28/04/2021)
La Corte d’Appello di Venezia confermava la sentenza del Tribunale di Verona, con la quale committente e appaltatore venivano condannati per omicidio colposo per l’infortunio mortale sul lavoro di un operaio a seguito della sua caduta da circa mt. 9,5 di altezza, mentre era intento a collocare dei pannelli di copertura.
Avverso la sentenza d’appello viene proposto ricorso in Cassazione lamentando vizio della motivazione e inosservanza di norme processali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, con specifico riferimento al principio di correlazione tra accusa e sentenza.
Il Giudice d’Appello avrebbe introdotto un profilo di colpa ulteriore e diverso, rispetto a quelli contemplati nella imputazione. Avrebbe, in particolare, ricostruito una sorta di colpa organizzativa che non ha mai costituito oggetto di contestazione, neppure di quella articolata in via suppletiva dal Pubblico Ministero, in quella sede essendosi attribuito all’imputato il tradimento del dovere di prevedere che le operazioni in quota per la copertura del tetto del capannone avvenissero lavorando con due piattaforme contemporaneamente presenti e di avere omesso di pretendere che tali previsioni fossero applicate in concreto.
Gli Ermellini ritengono il ricorso infondato.
Il thema decidendum riguarda la asserita violazione, da parte del giudice d’appello, del principio di correlazione tra accusa e sentenza di cui all’art. 521 c.p.p..
Ai fini della sussistenza di una violazione del principio di correlazione di cui all’art. 521 c.p.p., non é sufficiente qualsiasi modificazione dell’accusa originaria, ma é necessaria una modifica che pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato.
Ergo, non vi è nessuna violazione quando nel capo di imputazione vengono contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l’imputato in condizioni di difendersi dal fatto successivamente ritenuto in sentenza, da intendersi come accadimento storico oggetto di qualificazione giuridica da parte della legge penale, che spetta al giudice individuare nei suoi esatti contorni.
Questi principi, del resto, sono coerenti con il novellato art. 111 Cost., ma anche con l’art. 6 della Convenzione E.D.U., siccome interpretato, in base alla sua competenza esclusiva, dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Ebbene, i confini dell’addebito ritenuto in capo all’imputato risultano già delimitati nella sentenza appellata: l’istruttoria dibattimentale aveva permesso di affermare la sussistenza della violazione del dovere di predisporre due piattaforme mobili per la esecuzione dei lavori in quota sulla copertura del capannone o, almeno, di controllare affinché l’esecuzione di essi avvenisse mediante l’utilizzo di tali piattaforme e senza che i lavoratori addetti “sbarcassero” sulla copertura per posizionare i pannelli.
Oltretutto, dall’istruttoria è emersa la superficialità con cui la seconda piattaforma veniva recuperata la mattina stessa dell’infortunio mortale: a fronte dell’inizio dell’attività lavorativa di posizionamento dei pannelli alle ore 7.30, l’operaio che doveva occuparsi di portare la seconda piattaforma sul luogo era stato avvisato di tale necessità solo alle 8.30 della stessa mattinata e i termini di tale incarico non erano stati perentori. Il soggetto incaricato, infatti, era contemporaneamente occupato in altro incombente correlato all’organizzazione aziendale (esame per il rinnovo del patentino di saldatore), cosicché egli si sarebbe recato a recuperare la seconda, indispensabile piattaforma solo a mattinata inoltrata e dopo, quindi, l’inizio del lavoro di copertura.
I lavoratori impegnati in quella attività lavorativa, dunque, in assenza del presidio di sicurezza formalmente disposto, si erano “arrangiati”, come del resto avvenuto anche in precedenza, allorché si era trattato di portare in quota il fascio di pannelli da collocare sul tetto.
Il datore di lavoro ha l’obbligo di accertarsi che gli incarichi affidati ai propri dipendenti siano funzionali a una corretta organizzazione del lavoro e che questo, soprattutto quando implichi elevati profili di pericolosità, si svolga in condizioni di sicurezza, in modo che i lavoratori dispongano della necessaria strumentazione, rientrando nel concetto più ampio di organizzazione del lavoro anche quello di allestimento dei mezzi necessari per svolgere le attività in sicurezza, in modo che l’avvio dell’attività non sia disposto prima che tali presidi siano disponibili in concreto.
La Corte d’Appello, ha affermato che la responsabilità dell’imputato per l’infortunio mortale sul lavoro era stata ritenuta non in relazione alla mancata previsione astratta della necessità che la lavorazione avvenisse con l’uso della doppia piattaforma, ma con riferimento alla omessa disposizione che tale previsione fosse osservata in concreto.
La decisione d’appello, inoltre, richiama puntualmente la testimonianza dell’operaio incaricato di reperire la seconda piattaforma: costui aveva ricevuto l’ordine di prendere la seconda piattaforma a lavori già iniziati e, soprattutto, in termini tali che le esigenze dalla sicurezza dei lavoratori già impegnati in quella rischiosa attività passassero in secondo piano rispetto all’espletamento dell’altro incarico.
Il ricorso viene rigettato e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese di giudizio.
Avv. Emanuela Foligno
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