Infortunio sul lavoro per mansioni diverse, responsabilità del datore e nesso causale

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Il comportamento del lavoratore non è stato abnorme e per l’infortunio sul lavoro per mansioni diverse è da ritenersi responsabile il datore di lavor. Non vi sono i presupposti, indicati dalla giurisprudenza di legittimità, per riconoscere l’interruzione del rapporto di causalità per comportamento eccentrico, imprevedibile ed esorbitante del lavoratore infortunato (Corte di Cassazione, IV penale, sentenza 22 aprile 2025, n. 15694).

La vicenda

La Corte di Palermo ha confermato la decisione del Tribunale di Sciacca che aveva riconosciuto il datore di lavoro colpevole del reato di lesioni colpose, aggravate dalla inosservanza della disciplina prevenzionistica sul lavoro, ai danni del proprio dipendente, e lo aveva condannato alla pena di mesi 4 di reclusione oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile, rimettendone la liquidazione al Giudice civile.

Infortunio sul lavoro per mansioni diverse

Nello specifico, all’indagato è stato contestato di avere impiegato il dipendente in mansioni diverse da quelle per le quali era stato assunto e con orari più ampi di quelli contrattualmente previsti, incaricandolo di provvedere alla pulizia di alcune aree dell’azienda limitrofe a quella di stoccaggio della sansa esausta. Nonché di avere omesso di predisporre misure idonee alla protezione dei lavoratori in presenza di pericolo di caduta dall’alto e di ostacoli fissi; per avere allestito un deposito di stoccaggio della sansa pari a 5/6 metri rispetto al piano di calpestio, senza nessun sistema di prevenzione delle cadute dall’alto. Per avere omesso di curare la formazione e la informazione del dipendente in ordine ai rischi legati alle mansioni cui era stato, in concreto, adibito e per avere omesso di dotare il dipendente di dispositivi di sicurezza individuali idonei alle mansioni che avrebbe dovuto svolgere.

Il lavoratore ha riportato ai calcagni plurime fratture vertebrali, in quanto, impegnato nell’attività di pulizia dell’area prospiciente il muro di contenimento che sovrastava il vano interrato, profondo 5/6 metri adibito a stoccaggio della sansa, per la mancanza di un parapetto, o di barriere, e delle pericolose condizioni dei luoghi dovute alla presenza di ferri che fuoriuscivano dal muro, era precipitato nell’area sottostante provocandosi le lesioni di cui sopra.

Ricorso in Cassazione e doppia conforme

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il datore di lavoro, in relazione alla responsabilità amministrativa riconosciuta. In estrema sintesi viene contestato il difetto di motivazione, anche in relazione al rispetto dei principi in materia di valutazione della prova, e in ordine all’affermazione della responsabilità penale dell’imputato.

Le doglianze (che vengono respinte perché infondate) sono tra loro collegate perché afferenti alla asserita interruzione del rapporto di causalità per abnormità del comportamento del lavoratore, e presuppongono una preliminare verifica sulla ricostruzione del sinistro.
La Corte siciliana ha confermato la sentenza di primo grado dichiarando il datore di lavoro responsabile del reato ascritto configurandosi una c.d. “doppia conforme” di condanna, avendo entrambi i Giudici di merito affermato la sua responsabilità in ordine al reato oggetto di contestazione che ha affidato alla vittima operazioni di bonifica in un’area pericolosa dell’azienda, caratterizzata dal forte dislivello rispetto al piano di campagna, privo di protezioni e in assenza di adeguate misure di protezione individuali e in assenza di adeguata vigilanza sul rispetto delle prescrizioni di legge.

Valutazione probatoria coerente e motivazione logico-giuridica

Questo significa che entrambe le decisioni di merito si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile. Nel ricorso qui in analisi, sotto l’apparenza del vizio motivazionale, il datore di lavoro pretenderebbe di asseverare, su alcuni punti specifici, una diversa valutazione del compendio probatorio, richiamando aspetti di merito non deducibili allo scopo di legittimare una ricostruzione alternativa della dinamica del sinistro.
I Giudici di secondo grado hanno ricostruito la vicenda fattuale in modo logico e coerente, evidenziando tutti i passaggi salienti, in termini causali, che hanno condotto alla verificazione del sinistro e operando la ricostruzione dei fatti in termini coerenti con le risultanze processuali, in particolare sulla base delle testimonianze acquisite e fornendo una adeguata argomentazione logico giuridica alle conclusione cui è pervenuta con riferimento al giudizio di attendibilità della persona offesa.

Attendibilità della vittima e assenza di elementi contrari

I Giudici di merito hanno correttamente e logicamente evidenziato come il datore di lavoro non abbia mai introdotto elementi idonei a contrastare la dinamica del sinistro indicata dalla persona offesa, avendo al contrario fedelmente riferito quanto gli veniva raccontato dopo essere arrivato sul luogo dell’infortunio. Le dichiarazioni testimoniali, del resto, hanno chiarito come venivano condotte le attività di pulizia del luogo di accumulo della sansa e la non necessità di estendere la pulizia anche al muro di contenimento in quanto su di esso non si accumulavano i residui della molitura delle olive, oltre ad essere smentite dagli accertamenti dell’organo ispettivo, sono state validamente valutate dai Giudici di merito, che hanno tenuto anche in considerazione il fatto che la vittima era impiegata da pochissimo tempo presso il datore di lavoro indagato.

Insussistenza del comportamento abnorme

Pertanto, la sentenza di secondo grado non presenta vizi. Inoltre gli elementi probatori sono stati analiticamente esaminati palesando le ragioni che hanno riconosciuto la responsabilità dell’imputato. Quanto argomentato dall’indagato non inficia la decisione di appello che ha dato adeguato conto del conferimento dell’incarico e che lo stesso si riferiva agli incombenti di pulizia del terrapieno e del muro di contenimento, prospiciente il deposito della sansa, e del rapporto di causalità intercorrente tra le inosservanze ascritte al datore di lavoro rispetto all’evento infortunistico.
Accertata, pertanto, la ricostruzione della dinamica dell’infortunio, corroborata anche dalle dichiarazioni della persona offesa, è evidente che non vi sono i presupposti, indicati dalla giurisprudenza di legittimità, per riconoscere l’interruzione del rapporto di causalità per comportamento eccentrico, imprevedibile ed esorbitante del lavoratore infortunato. Sotto il profilo causale viene dunque riaffermato il principio secondo cui l’interruzione del rapporto di causalità, sebbene in costanza della imprudente condotta del lavoratore non si realizza quando, come nella specie, il sistema di sicurezza apprestato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità.

In conclusione, la Cassazione annulla senza rinvio agli effetti penali la sentenza impugnata nei confronti del datore di lavoro, per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili e condanna il datore alla refusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile.


Avv. Emanuela Foligno

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