La compensazione nel giudizio di Cassazione

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La valutazione sulla concessione o meno della compensazione delle spese sul presupposto, eventualmente, della esistenza di una soccombenza reciproca o di altre ragioni rientra nel potere discrezionale del Giudice di merito ed esula dalla valutazione della Corte di Cassazione (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 24 aprile 2025, n. 10806).
Con sentenza del 18/5/2021 la Corte d’appello di Roma, pronunciando in sede di rinvio a seguito dell’ordinanza n. 4982/2013 emessa dalla Corte di Cassazione, rigetta l’appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 11626/2009. La Corte, inoltre, compensa le spese dei giudizi di appello e di cassazione, ponendo a carico del lavoratore quelle del giudizio di rinvio.

I Giudici di secondo grado hanno osservato:

  • pur riconoscendo la validità del contratto di locazione del 31 dicembre 2003, ha affermato che insieme alla stipula di tale contratto, era stata convenuta anche una integrazione verbale del canone (con ulteriori Euro 1.000,00).
  • entrambe le domande di risoluzione avanzate dalla donna (con i due distinti atti di intimazione) avevano avuto ad oggetto solo il contratto di locazione sottoscritto in data 30/12/2003 (poi registrato in data 29/11/2004), ma che la sentenza n. 19187/08 aveva accertato non essere più in vigore in ragione dell’accordo novativo intervenuto tra le parti in data 31/12/2003.

Domande di risoluzione del contratto e inammissibilità sopravvenuta

  • a fronte di tali specifiche statuizioni, il fatto che la società intimata, in occasione del deposito della sua memoria difensiva, avesse ammesso di aver versato, per il periodo marzo 2004-giugno 2005, un canone di soli Euro 1.500,00 (e quindi in violazione dell’accordo integrativo) non valeva comunque ad escludere la circostanza non contestata che le domande di risoluzione del rapporto di locazione, nelle due distinte intimazioni, erano state basate unicamente sul contratto del 30/12/2003 e, quindi, su un petitum diverso, ossia la risoluzione di tale contratto, e non del successivo contratto del 31/12/2003, registrato il 13/1/2004.
  • anche che la successiva domanda di risoluzione del contratto del 31/12/2003 doveva reputarsi nuova, perché formulata dopo la trasformazione del rito e tale statuizione non aveva formato oggetto di impugnazione.
    Ergo, le uniche richieste ammissibili di risoluzione del rapporto locatizio riguardavano il contratto sottoscritto in data 30/12/2003 e, quindi, il motivo di censura andava disatteso.

Esame della Corte di Cassazione e contestazione del giudicato

Lamenta la ricorrente che la Corte d’appello erroneamente avrebbe ritenuto che la domanda risolutoria fosse fondata sul contratto registrato il 29/11/2004 e che non avrebbe impugnato il capo della sentenza di primo grado relativo alla dedotta inammissibilità della domanda di risoluzione, formulata dopo la trasformazione del rito, del contratto registrato il 13/1/2004. Per contro, la domanda risolutoria formulata in primo grado, successivamente al mutamento del rito, era legittimamente fondata sulla disciplina negoziale accertata dalla sentenza n. 19187/2008 del Tribunale di Roma.

La Corte d’appello, invece, pur riconoscendo la validità del contratto di locazione del 31/12/2003 (recante il canone di Euro 1.500 mensili), ha ritenuto che in modo coevo era stata concordata verbalmente una integrazione di ulteriori Euro 1.000 al mese, ma piuttosto che interrogarsi se la donna avesse, o meno, impugnato l’inammissibilità (invece censurata), dedotta dal Tribunale, il secondo Giudice avrebbe dovuto verificare, come compulsato dal primo motivo d’appello, se il Tribunale avesse fatto o meno corretta applicazione della sentenza n. 19187/2008, utilizzata ai fini della decisione, e se proprio l’uso di tale statuizione da parte del Giudicante avesse o meno legittimato, a sua volta, la domanda risolutoria formulata successivamente al mutamento del rito.

Inammissibilità della censura e mancata esplicitazione delle doglianze

La censura è inammissibile.
La ricorrente non ha in alcun modo esplicato le proprie doglianze. L’esposizione del motivo non contiene l’illustrazione del modo in cui il Giudice di merito avrebbe violato l’obbligo di esposizione del percorso argomentativo in ordine al rigetto del primo motivo di appello.
Ciò si traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. Tale nullità si risolve in un “non motivo” ed è conseguentemente sanzionata con l’inammissibilità.

Giudicato della sentenza 19187/2008 e mancata impugnazione efficace

La ricorrente si duole per non aver la Corte d’appello considerato il giudicato costituito dalla sentenza n. 19187/2008 del Tribunale di Roma formatosi solo a seguito del deposito, avvenuto il 27.4.2017, della sentenza n. 10379/2017 della Corte di Cassazione, che ha mutato, solo in sede di riassunzione del giudizio di rinvio, il quadro di riferimento della risoluzione contrattuale ab origine azionata. La Corte non avrebbe considerato il passaggio in giudicato della sentenza n. 19187/2008, invocata dalla locatrice a fondamento della domanda risolutoria, e, quindi, ben avrebbe potuto valutare nel merito tale domanda, risultando fondata, proprio perché sussistente la confessione dell’Alma s.r.l. circa il proprio inadempimento.
Anche questa argomentazione è inammissibile. La ricorrente, nel dedurre la violazione del giudicato rappresentato dalla sentenza citata, non ha “aggredito” la sentenza della Corte di secondo grado nella parte in cui è stato ritenuto che le uniche richieste ammissibili di risoluzione del rapporto locatizio afferivano al contratto sottoscritto in data 30/12/2003, mentre la domanda introdotta dopo il mutamento del rito, in quanto basata sul contratto del 31/12/2003, oggetto di scrutinio da parte della sentenza n. 19187/2008, era inammissibile.

Motivazione della sentenza impugnata e difetti della critica

La Corte d’appello ha scritto: “aggiungasi che lo stesso Tribunale affermò anche che la successiva domanda di risoluzione del contratto del 31/12/2003 doveva reputarsi inammissibile per il suo carattere di novità, perché formulata dopo la trasformazione del rito. Tale statuizione non ha formato oggetto di impugnazione con il presente gravame. Ne consegue che, avendo la sig.ra A. basato le uniche richieste (ammissibili) di risoluzione del rapporto locatizio soltanto sul contratto sottoscritto in data 30/12/2003, il motivo di censura non può che essere disatteso.”
La ricorrente non si è confrontata con la ratio decidendi enunciata dalla Corte d’appello. La decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, “l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo”.

Compensazione delle spese processuali

Venendo alla compensazione delle spese, la ricorrente deduce che pur compensate le spese del giudizio di appello e di quello di legittimità, è stata condannata alla rifusione delle spese del giudizio di rinvio. Viceversa, la Corte d’appello avrebbe dovuto cogliere in sede di rinvio una reciproca soccombenza, o quantomeno gravi ed eccezionali ragioni legittimanti la compensazione.
La valutazione sulla concessione o meno della compensazione delle spese sul presupposto, eventualmente, della esistenza di una soccombenza reciproca o di altre ragioni rientra nel potere discrezionale del Giudice di merito ed esula dalla valutazione della Corte di Cassazione.
Infatti, il sindacato della Corte di Cassazione deve accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa. Pertanto, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del Giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi.

Discrezionalità del giudice e soccombenza nel merito

La Corte d’appello ha disposto la compensazione delle spese del giudizio di appello e del successivo giudizio di legittimità in quanto afferenti ad un aspetto di mero rito, peraltro originato da una valutazione operata d’ufficio dal Giudice di secondo grado. Per contro, le spese del giudizio di rinvio, oggetto del presente commento, sono state poste a carico della donna in quanto soccombente. E non è dubbio che nei procedimenti, poi riuniti, alla base della sentenza oggi impugnata, la donna sia rimasta totalmente soccombente.
La Cassazione, pertanto, dichiara il ricorso inammissibile.

Avv. Emanuela Foligno

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