Spetta al datore di lavoro allegare e provare le specifiche circostanze che hanno indotto l’attivazione dei controlli tecnologici (videoriprese), perché solo il predetto “sospetto” consente l’azione datoriale fuori del perimetro di applicazione diretta dell’art. 4 st. lav., ed anche perché, in via generale, incombe sul datore, ex art. 5 l. n. 604 del 1966, la dimostrazione del complesso degli elementi che giustificano il licenziamento (Corte di Cassazione, IV – Lavoro civile, ordinanza 24 aprile 2025, n. 10822).
La vicenda in esame vede protagonisti, in qualità di datori di lavoro, il famoso brand Dolce & Gabbana.
Licenziamento illegittimo e sentenze dei giudici di merito
Il 14 aprile 2023, era stata emessa un’ordinanza con cui si dichiarava illegittimo il licenziamento della responsabile dello showroom di Milano da parte di Dolce & Gabbana. In conseguenza di tale decisione, l’azienda era stata condannata alla reintegra della lavoratrice e al risarcimento del danno.
Dolce & Gabbana aveva proposto opposizione contro l’ordinanza, ma questa era stata rigettata. Successivamente, il brand aveva presentato reclamo avverso la decisione di rigetto. Tuttavia, con sentenza del 23 febbraio 2024, la Corte d’Appello di Milano ha respinto anche il reclamo, confermando così l’illegittimità del licenziamento.
La Corte di Milano, così come il primo Giudice, ha ritenuto la mancanza di prove legittimamente acquisite in ordine alla responsabilità della dipendente per i fatti attinenti alla sottrazione di alcuni prodotti, poiché, in sintesi, le indagini e le registrazioni audiovisive erano state realizzate senza il rispetto della vigente normativa in materia, per l’assoluta inattendibilità di un teste.
Ricorso in Cassazione e onere della prova
La Corte di Cassazione rigetta in toto per mancato assolvimento degli oneri probatori.
Le doglianze della lavoratrice, in sostanza, contestano l’accertamento operato dalla Corte territoriale in ordine all’interpretazione offerta delle risultanze probatorie acquisite ed alla corrispondente mancata acquisizione di talune prove richieste.
Con particolare riferimento alla lamentata violazione dell’art. 2697 c.c., la S.C. richiama il consolidato orientamento secondo cui la detta violazione è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il Giudice abbia attribuito l’onere della prova a una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma, e che tale ipotesi non ricorre nel caso di specie.
Valutazione delle prove e limiti al controllo di legittimità
Ed ancora, violazione e falsa applicazione della norma in parola non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal Giudice di merito, a meno che si alleghi che siano state poste a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o siano state valutate secondo il prudente apprezzamento.
La lavoratrice lamenta una erronea interpretazione delle prove offerte, delle quali, tuttavia, suggerisce un diverso apprezzamento, contrapponendolo alla diversa motivazione della Corte, senza apportare elementi che possano indurre a reputare la prima implausibile.
Controlli difensivi e legittimità secondo la giurisprudenza
Ebbene (fra le più recenti, Cass. n. 118168/2023), la legittimità dei controlli tecnologici cd. difensivi in senso stretto presuppone il fondato sospetto del datore di lavoro circa comportamenti illeciti di uno o più lavoratori.
Ergo, spetta al datore di lavoro allegare e provare le specifiche circostanze che l’hanno indotto ad attivare i controlli tecnologici ex post, sia perché solo il predetto sospetto consente l’azione datoriale fuori del perimetro di applicazione diretta dell’art. 4 st. lav., sia perché, in via generale, incombe sul datore, ex art. 5 l. n. 604 del 1966, la dimostrazione del complesso degli elementi che giustificano il licenziamento.
Illegittimità dei controlli tecnologici e uso delle immagini audiovisive
Tale prova è stata ritenuta dal Giudice di secondo grado non adeguatamente offerta da parte datoriale e la valutazione relativa risulta sottratta al sindacato della Corte di Cassazione.
Anche il secondo Giudice ha ritenuto chiara la violazione della disciplina a tutela della riservatezza e della dignità della lavoratrice, essendo stata eseguita, in fatto, una illecita perquisizione su un bene personale (cioè la borsa apparentemente appartenente alla collega).
Oltre a ciò, anche con riferimento alle riprese degli impianti audiovisivi, correttamente ricondotti da entrambi i Giudici di merito nell’ambito dei controlli difensivi del patrimonio aziendale perché rivolti indistintamente a tutto il personale, la Corte ne ha ritenuto la carenza di prova circa l’adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli tecnologici e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
Mancanza di prova e dichiarazioni testimoniali inattendibili
La Corte ha correttamente ritenuto non tempestiva l’istanza di produzione del comunicato con cui si rendeva nota l’iniziativa aziendale di installare presso tutte le sedi impianti di videosorveglianza, attesa non solo la tardività del deposito, quanto, soprattutto, il difetto della prova circa se l’informativa in oggetto fosse stata consegnata e/o portata a conoscenza della lavoratrice.
Ha concluso quindi la Corte, con valutazione che non può essere sindacata in Corte di Cassazione, per l’inutilizzabilità delle immagini audiovisive, nonché del materiale scaturente da tali riprese e dell’indagine.
Non dirimenti e inattendibili le dichiarazioni del teste (addetto alla sorveglianza), in considerazione delle numerose incongruenze, ed a corroborare le stesse non è stato ritenuto sufficiente quanto dichiarato dagli altri testimoni, alla luce dell’assenza del medesimo rispetto al momento della verificazione dei fatti ed al carattere meramente de relato di quanto riferito.
Esito finale del giudizio e dichiarazione di inammissibilità
Il Giudice di secondo grado, quindi, ha concluso decidendo per il mancato assolvimento dell’onere della prova da parte della datrice di lavoro circa la dimostrazione degli addebiti idonei ad integrare la giusta causa di recesso e tale conclusione è sottratta al sindacato di legittimità.
Alla luce di quanto esposto, il ricorso viene dichiarato inammissibile.
Avv. Emanuela Foligno