Infortunio sul lavoro e rigetto non motivato della condanna di risarcimento danni

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Il lavoratore cita a giudizio il suo datore di lavoro per il risarcimento del danno da infortunio avvenuto in data 5/8/2011, ma entrambi i Giudici di merito rigettano la domanda (Cassazione Civile, sez. lav., 21/05/2024, n.14145).

Il caso

Sia il Tribunale di Trieste, che la Corte di Appello rigettano la domanda del lavoratore volta al riconoscimento del danno derivante da infortunio sul lavoro.

Il lavoratore si spinge in Cassazione ove lamenta che il fatto materiale dell’infortunio sul luogo di lavoro non sarebbe mai stato contestato, avendolo la datrice di lavoro denunciato all’INAIL. Contesta inoltre il potere del Giudice di sindacare il nesso causale tra infortunio e danni alla salute senza l’ausilio di una consulenza tecnica medico – legale e la motivazione incomprensibile.

Le sue censure sono corrette.

La sentenza del Giudice di merito deve contenere una motivazione effettiva, e non apparente, deve essere comprensibile il percorso logico seguito per giungere alla decisione. In caso contrario sussiste vizio di nullità della sentenza.

Ebbene la sentenza della Corte d’Appello di Trieste, nel passaggio in cui avrebbe dovuto giustificare il rigetto della domanda di condanna al risarcimento dei danni da infortunio sul luogo di lavoro, non rende comprensibili le ragioni di quella decisione. Innanzitutto non è chiaro se con l’iniziale osservazione che “nessuno era presente al fatto/infortunio” la Corte intenda affermare che manchi la prova del verificarsi dell’infortunio, che pure poco prima sembrerebbe essere assunto come un fatto pacifico.

Ed ancora, non si comprende l’enfatizzazione delle differenze tra riferire di avere subito l’infortunio “nel tentativo di trattenere degli oggetti che cadevano” e precisare di averlo subito “per afferrare la porta (di un armadio) e impedirne la caduta“.

È evidente che anche una “porta” è un “oggetto”, né tale banale constatazione può essere messa in crisi dal rilievo che si trattava di “una porta vera e propria”, peraltro subito dopo contraddetto dall’inciso “meglio, trattavasi di una delle due ante di una porta di un armadio come è pacifico in atti”.

L’assenza di prova dell’infortunio sul lavoro

Egualmente incoerente, rispetto all’intenzione di rilevare l’assenza di prova dell’infortunio sul lavoro, è la successiva considerazione che “la spalla sinistra dell’interessato, pacifica sede del danno, era stata interessata negli anni da altri insulti e lesioni“. Aspetto che -in mancanza di consulenza tecnica – potrebbe rilevare semmai al fine dell’accertamento del nesso causale tra infortunio e lesione della salute, non tanto su quello dell’accertamento del verificarsi dell’infortunio.

Infine, in linea con l’ambiguità di questo percorso argomentativo, la motivazione non si conclude con una chiara affermazione della mancanza di prova dell’evento, ovvero del nesso causale tra evento e conseguenze dannose, bensì con la non meno ambigua affermazione che “la vicenda risulta ancor meno chiara”, affermazione che certo non basta per sostenere il successivo “e non ascrivibile al preteso infortunio“.

Conclusivamente, la Cassazione, ribadendo che l’accertamento del fatto compete al Giudice di merito, constata che in questo caso la Corte di appello non ha rispettato il minimo costituzionale dell’obbligo di motivazione, non avendo dato conto in maniera comprensibile né dell’esito di tale accertamento, né del percorso logico seguito per giungere al rigetto della domanda.

Avv. Emanuela Foligno

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