Respinto il ricorso di un lavoratore che chiedeva il risarcimento del danno biologico differenziale conseguente all’infortunio sul lavoro occorso a bordo di un’imbarcazione

“Nel rito del lavoro occorre contemperare il principio dispositivo con quello di verità, pertanto, ai sensi dell’art. 437, comma 2, c.p.c., il deposito in appello di documenti non prodotti in prime cure non è oggetto di preclusione assoluta ed il giudice può ammettere, anche d’ufficio, detti documenti ove li ritenga indispensabili ai fini della decisione, in quanto idonei a superare l’incertezza dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione, purché allegati nell’atto introduttivo, seppure implicitamente, e sempre che sussistano significative “piste probatorie” emergenti dai mezzi istruttori, intese come complessivo materiale probatorio, anche documentale, correttamente acquisito agli atti del giudizio di primo grado”. E’ quanto ribadito dalla Cassazione nell’ordinanza n. 28084/2020. La Suprema Corte si è pronunciata sul ricorso presentato da un lavoratore che prestava servizio come nostromo su un motopeschereccio. L’uomo aveva agito in giudizio per vedersi riconoscere il risarcimento del danno biologico differenziale conseguente all’infortunio sul lavoro occorso il a bordo dell’imbarcazione.

Il Giudice di prime cure aveva accolto l’istanza ma la decisione era stata riformata in appello.

La Corte territoriale, infatti, aveva accertato in fatto che, mentre il motopescehereccio era in navigazione, in sala macchina si era sviluppato un incendio in corrispondenza dell’apparato motore; che era stato diramato l’allarme di pericolo e che dopo sei minuti l’incendio era stato domato prima che le fiamme potessero propagarsi al di fuori del locale.

Il Collegio distrettuale aveva dato atto ha dato atto di come l’Inail avesse riconosciuto al nostromo un indennizzo commisurato ad una menomazione dell’integrità psicofisica del 13% in ragione del grave stato ansioso sofferto dal medesimo e che il Tribunale avesse fondato la responsabilità datoriale sulla violazione degli obblighi di prevenzione di cui all’art. 6, d.lgs. n. 271 del 1999 e, specificamente, sulla omessa manutenzione periodica del motore dell’imbarcazione.

Per il Giudice del gravame, tuttavia, la sentenza impugnata non aveva adeguatamente valutato le prove documentali prodotte dalla società datrice ed atte a dimostrare l’esatto adempimento degli obblighi di prevenzione e sicurezza; in particolare, aveva sottolineato come la società avesse prodotto “il certificato di navigabilità” dal quale si evinceva l’idoneità dell’imbarcazione alla navigazione ed il superamento delle verifiche tanto all’apparato motore che alle dotazioni di sicurezza; aveva poi ritenuto ammissibile la produzione in appello della fattura relativa alla manutenzione del motore e alle prove di funzionamento considerando tale documento idoneo corroborare ulteriormente l’adempimento degli obblighi di cui all’art. 2087 c.c. e al decreto legislativo n. 271 del 1999 e quindi l’assenza di colpa nella causazione dell’infortunio.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte il marinaio eccepiva che la Corte di merito avesse ammesso la produzione della fattura, violando il divieto assoluto di nuova produzione documentale in appello; la fattura, infatti, sarebbe stata nella disponibilità della società all’epoca di svolgimento del giudizio di primo grado, e la stessa non aveva in alcun modo allegato e dimostrato di non averla potuta produrre tempestivamente.

I Giudici Ermellini, tuttavia, non hanno ritenuto di aderire alle argomentazioni proposte.

Il motivo di doglianza del ricorrente, in particolare, non si confrontava col potere riconosciuto al giudice d’appello nel rito del lavoro dall’art. 437 c.p.c… La Corte di merito, invece, aveva ammesso la produzione documentale in appello in base ad una corretta interpretazione ed applicazione di tale norma, come desumibile dalla unanime giurisprudenza di legittimità.

Dal Palazzaccio hanno evidenziato, peraltro, come le Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 10790 del 2017), abbiano precisato che “nel giudizio di appello, costituisce prova nuova indispensabile quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado”.

Pertanto, deve ritenersi consentito nel rito del lavoro che il giudice d’appello, nell’esercizio dei suoi poteri istruttori d’ufficio, possa acquisire e valutare i documenti esibiti nel corso del giudizio di secondo grado ove essi siano indispensabili, perché idonei a decidere in maniera definitiva la questione controversa tra le parti.

Nel caso in esame la Corte di merito si era attenuta a tali principi avendo acquisito la fattura contestata a completamento di un corredo probatorio rappresentato dalla documentazione tempestivamente prodotta dalla società e già in grado di fornire un principio di prova sul corretto adempimento dell’obbligo di manutenzione del motore e dei dispositivi di sicurezza.

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