Intervento al collo del femore ed esiti invalidanti (Cassazione civile, sez. III, dep. 27/02/2023, n.5808).

Intervento al collo del femore ed esiti invalidanti permanenti per l’insorgere di un’infezione.

L’Azienda Ospedaliera propone ricorso per cassazione, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Palermo.

La vicenda: Il paziente veniva sottoposto ad un intervento chirurgico al collo del femore dal quale riportava esiti invalidanti permanenti per l’insorgere di una infezione. Dopo un ano dall’intervento, nuovamente ricoverato per i dolori alla regione coxo-femorale, gli veniva diagnosticata una “necrosi cefalica femorale in sede di pregressa frattura basicervicale sinistra”, che determinava la necessità di installare una protesi all’anca.

In primo grado il Tribunale condannava l’Azienda ospedaliera al risarcimento del danno biologico, per complessivi Euro 152.000,00. Successivamente, la Corte di appello, accoglieva parzialmente il gravame limitatamente alle spese di primo grado, che venivano compensate per ¼, mentre per i restanti ¾ a carico della soccombente; anche le spese del giudizio di appello, compensate per 1/4, venivano poste per i restanti 3/4 a carico dell’azienda ospedaliera.

In Cassazione l’Azienda ospedaliera censura l’addebito di responsabilità per l’insorgere dell’infezione e la quantificazione del danno non patrimoniale, sull’assunto che neppure il comportamento maggiormente osservante delle regole sanitarie sia in grado di escludere il verificarsi di infezioni nosocomiali.

Sostiene, per quanto qui di interesse, che, pur avendo dato atto che anche il comportamento più diligente da parte della struttura non sarebbe comunque riuscito ad evitare un rischio di infezione, pur ridotto al 30%, la Corte d’appello avrebbe correttamente dovuto escludere totalmente la riconducibilità del danno conseguente all’infezione alla responsabilità della struttura sanitaria, o quanto meno ridurre proporzionalmente il risarcimento liquidato.

La Corte di appello ha condiviso le valutazioni di primo grado ed ha ritenuto provato il rapporto di causalità tra l’esecuzione dell’intervento al collo del femore e la contrazione dell’infezione nosocomiale, ribadendo che gravava sulla Struttura il compito di assicurare, e l’onere di provare, l’avvenuta diligente sterilizzazione dell’ambiente ospedaliero, della sala operatoria, dei luoghi di degenza e di tutte le attrezzature e che, di contro, la Struttura medesima non aveva provato di avere seguito regolarmente i protocolli di disinfezione e sterilizzazione della sala operatoria.

Tale decisione si fonda sulla corretta applicazione del principio di diritto secondo cui “in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza”.

Adempiuto l’onere probatorio da parte del paziente, la Corte d’appello ha escluso che la Struttura sanitaria avesse fornito la prova liberatoria che l’evenienza infettiva fosse imprevedibile, o inevitabile, e come tale non imputabile.

Ciò è del tutto corretto. Egualmente corretto il ragionamento che ha escluso che “la percentuale del 30% di alea del verificarsi comunque dell’infezione nosocomiale, pur quando le strutture sanitarie abbiano adottato tutte le più idonee precauzioni” – circostanza nel caso concreto rimasta sfornita di prova -, debba essere tenuta in conto ai fini di una riduzione percentuale della somma equitativamente liquidata a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale.

Infine,  la valutazione equitativa del danno non patrimoniale è stata correttamente compiuta sulla base delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano.

Il ricorso viene rigettato.

Avv. Emanuela Foligno

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