Morte endouterina del feto e responsabilità dei Sanitari (Cass. penale, V sezione, n.45719/2022)

Morte endouterina del feto e condanna penale nei confronti del Ginecologo per avere omesso i necessari accertamenti diagnostici.

La Corte di Appello di Napoli confermava la condanna a carico del Ginecologo per l’omissione, pur a fronte della sintomatologia lamentata dalla paziente, dei necessari accertamenti, così cagionando colposamente alla donna l’interruzione della gravidanza.

Il Medico ricorre in Cassazione e denunzia che l’accertamento della responsabilità svolto si fonderebbe su un ragionamento deduttivo probabilistico, formulato su valutazioni a posteriori. Secondo il ricorrente, in mancanza di dati contrari dai quali dedurre l’errore di diagnosi, non potrebbe evincersi che al momento della visita vi fosse la sintomatologia ipotizzata e, conseguentemente, la necessità di ulteriori approfondimenti.

Deduce, inoltre, che in assenza di un quadro clinico che palesasse un segno di infezione (riscontrata 5 giorni dopo la constatazione della morte endouterina del feto) e non essendo stata identificata con precisione la causa della morte, non sarebbe lecito discorrere di condotta colpevole e di legame eziologico tra le asserite omissioni e l’evento.

La Suprema Corte dà atto che i Consulenti del P.M. hanno ritenuto che la morte endouterina del feto fosse stata causata da una” ipossi-asfissia acuta originata da una sepsi misconosciuta, che avrebbe provocato la rottura prematura delle membrane e la fuoriuscita del liquido amniotico con conseguente addossamento del feto alle pareti dell’utero e successivo decesso.”

Al momento del ricovero per la espulsione del feto veniva accertata l’assenza di liquido amniotico, di talchè quando la donna si recava 5 giorni prima a visita presso il Ginecologo accusando perdite vaginali, il feto era certamente vivo, e dunque la visita superficiale dell’imputato non diagnosticava la lacerazione delle membrane in corso.

Sul punto i Consulenti hanno specificato “La diagnosi di rottura delle membrane sarebbe essenzialmente clinica ed emergerebbe solo attraverso la visualizzazione del liquido amniotico, l’anamnesi tipica, il riscontro ecografico di oligoidramnios ed eseguendo uno dei molteplici test idonei a stabilire se le perdite vaginali fossero di urina, ovvero di liquido amniotico”.

Invece, il Ginecologo si sarebbe limitato a espletare un esame ecografico, peraltro non refertato: in ciò viene considerata l’inerzia diagnostica responsabile dell’evento.

Il Tribunale nominava un Consulente, specialista in Ginecologia il quale riteneva che “non sarebbe dimostrabile la concatenazione causale degli eventi ipotizzata dai consulenti del P.M…….non vi sarebbe certezza scientifica sul rapporto eziologico tra l’infezione e la rottura prematura delle membranze, potendo l’una essere causa dell’altra….(…..)…. Ciònonostante, a fronte della sintomatologia evidenziata, si sarebbero dovuti eseguire tutti i test previsti dalle migliori Linee Guida e quindi, l’esame mediante speculum e tutti i connessi test ancillari”.

Alla luce delle considerazioni peritali, risultano infondate le doglianze del Medico ricorrente.

La titolarità di una posizione di garanzia, sottolineano gli Ermellini, non comporta un automatico addebito di responsabilità colposa poiché il principio di colpevolezza impone la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire, sia della sussistenza di un nesso causale tra la condotta e l’evento dannoso.

Il nesso causale, viene ribadito, deve essere accertato attraverso il giudizio controfattuale. Ebbene: il percorso logico-argomentativo seguito dai Giudici di merito è coerente con i dati processuali.

Non risulta rilevante conoscere l’esatta eziologia della lacerazione delle membrane o la genesi dell’infezione e se l’una sia stata causa dell’altra, o viceversa; ciò che rileva è che si può affermare con ragionevole certezza che la morte endouterina del feto è da ricondurre alla combinazione di questi due eventi.

Se alla data del 21 novembre 2013 è stata riscontrata la totale assenza di liquido amniotico, laddove, invece, al primo ricovero del 10 novembre il liquido amniotico risultava “normorappresentato”, il sacco amniotico si è svuotato in questo lasso di tempo. Ciò significa che alla data del 18 novembre (in cui la donna veniva visitata dal Ginecologo imputato) le perdite vaginali accusate dalla donna non potevano che essere perdite di liquido amniotico.

Pertanto, se in sede di tale visita il Ginecologo avesse eseguito tutti gli accertamenti del caso, sarebbe stato possibile con ragionevole certezza diagnosticare quantomeno la lacerazione delle membrane.

Conclusivamente il ricorso viene dichiarato inammissibile.

Avv. Emanuela Foligno

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