Intervento di colostomia non necessario e danno riflesso al coniuge (Cassazione civile, sez. VI,  dep. 27/05/2022, n.17271).

Intervento di colostomia non necessario e asportazione di fistola retto-vaginale.

Intervento di colostomia effettuato, secondo la tesi dell’attrice, a causa di errata diagnosi di patologia tumorale.

La donna nel giudizio di merito esponeva che:

-) era stata sottoposta ad un intervento chirurgico di asportazione di  fistola retto-vaginale;

-) in occasione dell’intervento era stato prelevato e sottoposto ad esame istologico, come da protocollo, un frammento di tessuto organico;

-) la struttura ospedaliera scambiò il materiale biologico prelevato sulla persona dell’attrice con quello prelevato sulla persona di altro paziente e diagnosticava una malattia tumorale che conduceva a un secondo intervento di colostomia, in realtà non necessario.

Il Tribunale rigettava la domanda, sul presupposto che il materiale biologico apparteneva, invece, con altissima probabilità alla donna.

La sentenza fu impugnata dalla parte soccombente e la Corte d’Appello rigettava il gravame ritenendo che doveva escludersi sia uno scambio di reperti istologici, sia un errore diagnostico; e concluse che l’attrice era effettivamente affetta da una malattia tumorale, correttamente diagnosticata e curata con l’intervento di colostomia.

La sentenza d’appello viene impugnata per cassazione per violazione degli artt. 1218 e 2697 c.c.

La ricorrente deduce che “se la Asl non fosse incorsa nell’errore determinato da un referto eseguito su un preparato istologico sbagliato non si sarebbero verificate le gravi conseguenze derivanti dall’intervento di colostomia; che anche il CTU rilevò che il materiale biologico prelevato era stato “contaminato con materiale umano non appartenente alla stessa”.

In definitiva, la ricorrente sostiene che la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto corretta la diagnosi di malattia tumorale compiuta dai sanitari dell’azienda convenuta, nonostante il materiale bioptico da essi esaminato fosse contaminato e perciò inattendibile.

Il motivo è inammissibile perché mescola censure diverse, senza che sia possibile stabilire quali di esse la ricorrente abbia inteso formulare.

La censura richiama i principi che presiedono all’accertamento del nesso di causa ; prosegue spiegando per quali ragioni la CTU si sarebbe dovuta ritenere inattendibile;  conclude affermando che i sanitari furono negligenti e che su essi ricadeva l’onere della prova liberatoria.

In buona sostanza, la Suprema Corte non è in grado di stabilire se con il motivo la ricorrente abbia inteso censurare il giudizio sulla causalità, quello sulla colpa o quello sul riparto dell’onere della prova.

Ed ancora, lo stabilire se il materiale bioptico appartenente alla ricorrente, fu o non fu contaminato, che è cosa ben diversa dallo scambio con materiale di altro paziente,  se quel materiale bioptico presentasse o non presentasse gli indici rivelatori di una malattia tumorale; se una CTU sia o non sia scientificamente attendibile, costituiscono altrettanti giudizi di fatto riservati al Giudice di merito e non sindacabili.

Anche le altre due censure sono ritenute inammissibili e generiche e il ricorso viene integralmente rigettato.

Avv. Emanuela Foligno

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