Inutile asportazione della fascia muscolare della coscia sinistra

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Secondo la tesi del paziente, il danno derivante dalla scelta chirurgica demolitiva con l’asportazione della fascia muscolare, in luogo di quella conservativa, si era determinato in conseguenza dell’evento emorragico innescato dalla errata esecuzione dell’esame bioptico con ago tranciante in data 8 maggio 2006, che aveva probabilmente indotto i sanitari ad eseguire una escissione radicale al fine di contrastare la assai probabile diffusione di cellule tumorali. La colpa medica riguarderebbe anche l’omessa informazione del risultato della RM, che gli aveva impedito ogni possibilità di scelta, impedendogli di rivolgersi a centri medici specializzati.

I fatti

Il paziente cita a giudizio l’Ospedale Sant’Andrea di La Spezia, deducendo che:

  • a seguito delle aumentate dimensioni di una tumefazione comparsagli sulla coscia sinistra nel novembre-dicembre 2005, si era sottoposto, a far tempo dal successivo mese di aprile 2006, a visite, accertamenti diagnostici ed esami strumentali presso l’Ospedale Sant’Andrea di La Spezia, ed in particolare: a visita chirurgica in data 3 aprile 2006, con diagnosi di “lipoma” e con prescrizione di ecografia in vista di successiva asportazione; ad ecografia in data 11 aprile 2006 con rilievo di “neoformazione ipoecogena, disomogenea a margini irregolari delle dimensioni di circa 64×13 mm di cui si consiglia esame bioptico”; ad RM muscolo scheletrica con mezzo di contrasto in data 2 maggio 2006 con referto di “disomogenea neoformazione dei tessuti molli lobulata”, “compatibile con patologia di tipo evolutivo”, senza “segni di coinvolgimento del tessuto muscolare” sottostante, ma con “rapporti di contiguità con la fascia muscolare che risulta irregolare da verosimile infiltrazione”;
  • nell’immediatezza di tali accertamenti si era sottoposto, in data 8 maggio 2006, in regime di day hospital, ad un prelievo per esame citologico con agoaspirato e a biopsia incisionale con ago tranciante, la quale era stata malamente eseguita con diverse punture e danneggiamento di un vaso sanguigno, senza previa acquisizione di consenso informato, senza controllo ecografico o TC e senza successivo periodo di osservazione in ambito ospedaliero;
  • sempre in data 8 maggio 2006, poiché, in seguito all’intervento di biopsia, si era formato un “ematoma superficiale esteso fino al 1/3 medio della coscia sinistra”, egli era tornato presso il medesimo ospedale, sia nel pomeriggio (allorché era stato rimandato a casa con prescrizione di stare a riposo e di praticare impacchi caldo-umidi), sia la sera, allorché era stato invece ricoverato d’urgenza per l’aggravarsi dell’emorragia, a cui si era rimediato il giorno successivo, mediante occlusione del vaso danneggiato durante la biopsia;
  • in data 10 maggio 2006 era stato informato della necessità di procedere ad intervento chirurgico per asportare la massa sulla parte laterale della coscia sinistra, trattandosi di tumore maligno (sarcoma dei tessuti molli);
  • due giorni dopo, il 12 maggio 2006, senza ricevere alcuna informazione circa modalità, rischi e postumi dell’intervento, era stato sottoposto ad intervento chirurgico di “escissione compartimentale o radicale”, comportante “l’asportazione in blocco di tutto il compartimento anatomico” della coscia sinistra, con successiva plastica mediante innesto di cute a tutto spessore; questo intervento era stato inutilmente demolitivo poiché gli era stata asportata l’intera fascia muscolare della coscia sinistra, dall’inguine al ginocchio, rendendolo gravemente invalido; inoltre, era stato sproporzionato rispetto alla massa tumorale di cui era stata accertata la presenza, di dimensioni inferiori a 5 cm, localizzata e non metastatizzata, in relazione alla quale le Linee Guida elaborate dalla SIOT (Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia) avrebbero previsto il meno invasivo intervento di “escissione ampia”, comportante l’asportazione del tumore, circondato da tessuto sano, “all’interno del compartimento anatomico di origine”.

La vicenda giudiziaria

Il Tribunale, in parziale accoglimento della domanda risarcitoria, accertava l’inesatto adempimento della prestazione sanitaria in occasione dell’intervento di biopsia dell’8 maggio 2006, che aveva cagionato un ematoma, presumibilmente evitabile mediante l’esecuzione di un ecocolor doppler pre-bioptico, idoneo ad evidenziare la presenza del “vaso genicolato” che aveva dato luogo al sanguinamento, con condanna della convenuta al pagamento, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, della somma di 2.000 euro (avuto riguardo al periodo di invalidità temporanea di cinque giorni accertato dal CTU), nonché dell’ulteriore somma di 968 euro a titolo di risarcimento del danno patrimoniale emergente per spese di consulenza medico-legale di parte.
Accertava l’ulteriore inadempimento per violazione dell’obbligo di informazione del paziente in ordine alle tipologie, alle tecniche esecutive e alle eventuali complicanze e conseguenze dell’intervento chirurgico del 12 maggio 2006, liquidando, a titolo risarcitorio, la somma di 3.000 euro; accertava, infine, la correttezza dell’intervento chirurgico praticato il 12 maggio 2006 e rigettò il capo di domanda per il risarcimento dei danni derivanti dall’esecuzione di tale intervento.

La Corte d’Appello di Genova, con sentenza 28 gennaio 2021, n. 91, ha rigettato il gravame, confermando integralmente la decisione di primo grado e il paziente ricorre in Cassazione.

Il ricorso in Cassazione

Per quanto qui di interesse, deduce che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio motivazionale costituzionalmente rilevante per avere fatto proprie le illogiche affermazioni contenute nella CTU, là dove questa – pur avendo premesso che, in base alle Linee Guida elaborate dalla SIOT (Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia), il trattamento standard della chirurgia oncologica di un sarcoma localizzato e non metastatico delle parti molli è la chirurgia ampia con associata radioterapia, mentre quella radicale è indicata per pazienti con malattia localmente avanzata e compartimentale – aveva poi contraddittoriamente concluso nel senso della correttezza dell’escissione compartimentale praticata dai sanitari dell’Ospedale spezzino, sebbene fosse stato accertato, all’esito della RM, che la lesione non coinvolgeva il tessuto muscolare ad essa sottostante.

La S.C. conferma il giudizio di responsabilità formulato dai Giudici di merito (Cassazione Civile, sez. III, 16/02/2024, n.4278).

Il CTU nominato in primo grado, riportando le Linee Guida, aveva osservato che, ai fini della asportazione dei sarcomi dei tessuti molli, l’escissione radicale o compartimentale riduce fortemente il rischio di recidiva locale (circa 2%), pur potendo comportare una diminuzione della funzione residua dell’arto: per questo motivo essa sarebbe stata particolarmente consigliata per i pazienti in cui la malattia è localmente avanzata e compartimentale, a differenza dell’escissione ampia, che comporta l’asportazione in blocco del tumore circondato da tessuto sicuramente sano, non reattivo, all’interno del compartimento anatomico di origine ma non esclude la possibilità di “lasciare in situ delle skip metastasi” con una percentuale di recidiva che si aggira intorno al 20-30%.

La Consulenza Tecnica

Il CTU aveva, tuttavia, evidenziato che la scelta tra l’una e l’altra tecnica deve anche tenere conto della situazione del caso concreto, ovverosia “della stadiazione, della funzione residua, delle possibilità ricostruttive, dell’efficacia delle terapie adiuvanti e della volontà del paziente”.
La situazione del caso concreto era contrassegnata da una particolare gravità poiché al paziente era stato diagnosticato un “tumore raro, caratterizzato da una massa che cresce, localizzata negli arti o nel tronco”, e precisamente “un leiomiosarcoma scarsamente differenziato”, del quale la RM del 2 maggio 2006 aveva accertato i “rapporti di contiguità con la fascia muscolare” sottostante, che era risultata “irregolare da verosimile infiltrazione”, pertanto – “tenuto conto della malignità della patologia, delineata dal fatto che i sarcomi non hanno capsula, invadono i tessuti circostanti e che le propaggini invasive non sono macroscopicamente visibili e che anche microscopicamente può essere impossibile determinare l’estensione dell’invasione”.
Considerata, inoltre, la natura del tumore, quale “leiomiosarcoma scarsamente differenziato” –, la scelta dei sanitari di procedere all’escissione compartimentale doveva reputarsi corretta, anche alla luce dell’importante obiettivo conseguito della guarigione del paziente – sebbene “a discapito, purtroppo, ma inevitabilmente, della funzione residua dell’arto” – che, a distanza di anni, era risultato guarito dalla grave patologia da cui era stato affetto.

Le suddette argomentazioni non sono contraddittorie, ergo non è contraddittoria la CTU e conseguentemente la sentenza che ne ha criticamente e motivatamente recepito le risultanze, poiché la premessa in ordine alla indicazione di carattere generale, desumibile dalle Linee Guida, circa la maggiore appropriatezza dell’escissione ampia rispetto a quella compartimentale per i sarcomi localizzati, non contrasta con il giudizio di correttezza della scelta di eseguire il secondo tipo di intervento, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, in cui non solo si era evidenziata una situazione di peculiare gravità, ma la tipologia di sarcoma diagnosticata al paziente neppure poteva ascriversi pacificamente alla categoria dei sarcomi localizzati, avuto riguardo alle risultanze della RM del 2 maggio 2006, che aveva accertato la verosimile infiltrazione della fascia muscolare sottostante.

Non c’è contraddizione

La Corte d’Appello non è caduta in contraddizione nella parte in cui avrebbe individuato nell’ematoma l’unico evento lesivo derivato dalla biopsia, pur convenendo con la CTU nella parte in cui questa aveva evidenziato che l’esecuzione di una biopsia senza previo studio ecografico (oppure senza previa RM o TC) determina il rischio di contaminare più compartimenti e, quindi, di diffondere le cellule tumorali.

La Corte individuando nel prelievo bioptico, scorrettamente eseguito, la causa dell’ematoma sofferto dal paziente, ha ritenuto che le conseguenze dannose fossero circoscritte al periodo di invalidità temporanea della durata di cinque giorni. Tale argomentazione non è in contraddizione con il rilievo generale, pure contenuto in CTU, secondo cui, in linea teorica, l’esecuzione della biopsia senza controllo ecografico avrebbe potuto determinare la diffusione delle cellule tumorali, poiché la Corte territoriale ha osservato che, nel caso concreto, “l’assunto dell’appellante per cui l’escissione compartimentale sia stata eseguita nel timore che l’emorragia innescata dalla maldestra esecuzione della biopsia avesse diffuso a tutta la coscia sinistra le cellule tumorali e che se la biopsia fosse stata correttamente eseguita, i medici non avrebbero avuto il timore di una diffusione delle cellule tumorali e si sarebbero attenuti alle raccomandazioni delle linee guida, non risulta in alcun modo supportato né nella CTU” né nelle relazioni di parte”.

L’ipotesi che l’erronea esecuzione della biopsia dell’8 maggio 2006 avesse creato il rischio specifico della diffusione delle cellule tumorali è stata espressamente considerata dalla Corte d’Appello, la quale, tuttavia, ha motivatamente escluso tale evenienza sulla base delle risultanze delle relazioni peritali, d’ufficio e di parte, sottolineando che da esse non era emerso alcun elemento atto a supportare “l’assunto dell’appellante per cui l’escissione compartimentale sia stata eseguita nel timore che l’emorragia innescata dalla maldestra esecuzione della biopsia avesse diffuso a tutta la coscia sinistra le cellule tumorali e che se la biopsia fosse stata correttamente eseguita, i medici non avrebbero avuto il timore di una diffusione delle cellule tumorali e si sarebbero attenuti alle raccomandazioni delle linee guida”.

Conclusivamente, per un verso, correttamente i sanitari decidevano di effettuare l’escissione compartimentale in luogo di quella ampia, non versandosi in una situazione di sarcoma pacificamente circoscritto e localizzato-. Per altro verso, il rischio specifico della diffusione del male era insito nella natura dello stesso e nella sua idoneità ad estendersi ai tessuti circostanti e non era stato invece creato dalla imperita esecuzione dell’intervento bioptico, i cui effetti dannosi, in termini di causalità materiale, sono stati correttamente circoscritti all’evento emorragico, da cui erano poi conseguite, in termini di causalità giuridica, le conseguenze dannose non patrimoniali connesse con il limitato periodo di inabilità temporanea della durata di cinque giorni, debitamente liquidate.

Avv. Emanuela Foligno

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