L’uomo, fermo in autostrada dopo un sinistro, era stato investito accanto al proprio veicolo da un’altra auto che sopraggiungeva

“In tema di circolazione stradale, il principio dell’affidamento trova un temperamento nell’opposto principio secondo il quale l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purché questo rientri nel limite della prevedibilità”. Lo ha ribadito la Cassazione con la sentenza n. 24414/2021 pronunciandosi sul ricorso proposto da un automobilista ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 589, comma 2 cod. pen., per avere cagionato, con colpa, consistito in negligenza, imprudenza ed imperizia, nonché inosservanza delle disposizioni di cui agli artt. 140, 141 e 142 C.d.S., la morte di un altro automobilista, investito accanto al proprio veicolo fermo in autostrada, a seguito di precedente sinistro, conseguente l’impatto della sua autovettura contro il new jersey in cemento, avendone perduto il controllo a causa dell’investimento di una ruota di scorta presente sul manto stradale.

Come ricostruito dai giudici del merito, in data 23 maggio 2013, fra le ore 21 e le ore 21,30, in condizioni di luce crepuscolare, la vittima percorreva il tratto autostradale Milano-Venezia, quando, trovatosi davanti ad una ruota di scorta, smarrita da un veicolo rimasto ignoto, perdeva il controllo della propria autovettura Chevrolet e deviando verso sinistra, andava ad urtare il new jersey della terza corsia di marcia e, dopo alcune evoluzioni incontrollate fra la seconda e la terza corsia, si arrestava, in posizione di quiete, in asse leggermente diagonale della terza corsia di marcia, offrendo il lato anteriore destro, in senso contrario alla direzione di marcia. Sceso immediatamente dall’auto, insieme con la moglie, si allontanava dal mezzo, restando coperto dalla propria vettura, circa venti metri oltre l’ingombro decidendo poi di riavvicinarsi, presumibilmente per prendere i giubbotti catarifrangenti ed il triangolo. A quel punto sopraggiungeva l’Audi condotta dall’imputato, che urtava con la parte anteriore destra del veicolo fermo, ruotando in senso antiorario e riusciva a fermarsi nella prima corsia di marcia, circa cinquanta metri oltre. La Chevrolet veniva proiettata in avanti di circa sedici metri, rimanendo nella terza corsia di marcia, con la parte anteriore verso il new jersey e prendeva fuoco. L’uomo poi deceduto, che al momento dell’urto fra l’Audi e la Chevrolet si trovava a fianco della portiera posteriore sinistra, veniva proiettato a circa trentatré metri dall’auto, in seconda corsia, avanti al punto in cui trovava la moglie, che lo raggiungeva e lo trovava esanime, con gli occhi sbarrati, venendo subito allontanata ‘di peso’ da un automobilista che si era fermato; quindi veniva travolto ed arrotato da un’altra auto che sopraggiungeva sulla medesima corsia.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, l’imputato deduceva che la Corte territoriale avesse omesso di tenere in considerazione che il comportamento della vittima, consistito nel ritornare verso la propria autovettura, in violazione del disposto dell’art. 140 C.d.S., costituiva fattore eccezionale atipico, non previsto, né prevedibile, ai sensi dell’art. 41, comma 2^ cod. pen. Sosteneva che anche laddove la persona offesa avesse effettivamente inteso riavvicinarsi alla sua autovettura, al fine di adempiere alle prescrizioni di cui all’art. 162 C.d.S., come ritenuto dalle sentenze, nondimeno, il Collegio di appello, investito della questione con il gravame, avrebbe dovuto valutare il contemperamento di detti obblighi con quelli derivanti dall’art. 140 C.d.S., secondo cui gli utenti della strada devono comportarsi in modo da non costituire pericolo od intralcio per la circolazione, salvaguardando in ogni caso la sicurezza stradale.

Gli Ermellini hanno ritenuto il ricorso infondato.

La doglianza proposta si concentrava, infatti, sulla regola dell’affidamento permeante la condotta richiesta in ambito di circolazione stradale, riportando una serie di pronunce secondo le quali la presenza di un pedone al centro della carreggiata non può considerarsi circostanza prevedibile. Dai principi richiamati pretendeva di trarre la conseguenza per la quale l’avere la vittima occupato la terza corsia di marcia di un’autostrada per raggiungere la sua auto, al buio, avrebbe costituito causa sopravvenuta ai sensi dell’art. 41, comma 2 cod. pen. da sola sufficiente a determinare l’evento.

Ebbene, dal Palazzaccio hanno rimarcato come, nel caso in esame, il Giudice a quo avesse correttamente rapportato la rappresentatività del pericolo e la sua prevedibilità non alla presenza del pedone sulla strada, ma a quella dell’ingombro della carreggiata costituito da un precedente sinistro, situazione quest’ultima frequente e che implica un ostacolo ben più consistente di un corpo umano e, dunque, è più visibile a distanza. L’eventualità di un incidente tale da comportare l’ostruzione totale o parziale della strada, dunque, avrebbe dovuto indurre una condotta di guida idonea a regolare la velocità ed arrestare la marcia nelle condizioni di tempo e di luogo presenti nell’occasione, in adempimento degli obblighi incombenti sugli utenti della strada. Si trattava di una motivazione scevra da ogni vizio logico e giuridico che affrontava la questione della prevedibilità dell’evento in modo coerente con il contenuto del c.d. principio di affidamento come maturato in ambito di circolazione stradale, ove, l’esclusione o la limitazione di responsabilità in ordine alle conseguenze alle altrui condotte prevedibili o, in altri termini, il poter contare sulla correttezza del comportamento di altri, riduce i suoi margini in ragione della diffusività del pericolo, che impone un corrispondente ampliamento della responsabilità in relazione alla prevedibilità del comportamento scorretto od irresponsabile di altri agenti.

La redazione giuridica

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