Con un ricorso presentato nel 2012, la ricorrente chiedeva la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento dell’indennizzo per la durata irragionevole del processo contabile da lei intrapreso nei confronti dell’INPDAP, dapprima dinanzi alla Corte dei Conti sezione giurisdizionale della Campania e poi in appello, dinanzi alla Corte dei Conti sezione centrale

Nel 2010 la stessa aveva già presentato un altro ricorso per i danni derivati dall’irragionevole ritardo giudiziario sino ad allora maturato, relativo allo stesso procedimento.

Ma la Corte d’Appello di Roma, nel 2017 aveva rigettato il ricorso, ripercorrendo i tempi della vicenda giudiziaria.

La vicenda

La vertenza in materia pensionistica era cominciata, con ricorso introdotto nel 1999 e definito, in primo grado, con sentenza della Corte dei Conti Sezione giurisdizionale della Campania nel 2007.

Successivamente era stato proposto appello, nella pendenza del quale era stato presentato un primo ricorso per la liquidazione dell’equo indennizzo. Tale prima domanda di equa riparazione era stata definita e accolta con decreto del 2014.

Ora, secondo i giudici della corte capitolina la seconda domanda di equa riparazione non aveva ragione di essere accolta, dal momento che tra la data del deposito del secondo ricorso, ai sensi della L. n. 89 del 2001 e la decisione della controversia pensionistica in appello (anno 2012) era decorso un termine di anni 1 e mesi 8.

Si trattava, cioè, di un termine inferiore al quello previsto per la durata ragionevole del processo di appello (anni due).

Il ricorso per Cassazione

Contro la decisione della corte distrettuale romana, la donna presentava ulteriore ricorso, questa volta dinanzi ai giudici di legittimità.

Denunciava la violazione, nonché falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e della CEDU, art. 6, in quanto la sentenza impugnata, nel respingere la sua istanza, trascurava che il termine di anni 1 e mesi 8 entro il quale era stato definito il processo di secondo grado, era in realtà stato già preso in esame e detratto dalla durata complessiva del procedimento, in occasione della definizione della prima domanda di equo indennizzo, laddove la somma riconosciuta alla ricorrente era stata calcolata detraendo un termine di durata ragionevole del processo di cinque anni, comprensivo cioè sia della durata ritenuta conforme ai principi della CEDU per il primo grado che di quella prevista per il giudizio di secondo grado.

L’argomento convince i giudici della Cassazione.

Quanto affermato dalla ricorrente corrispondeva a verità.

Ed in effetti, alla seconda domanda di equo indennizzo i giudici di merito avrebbero dovuto fare applicazione del principio espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 88 del 2018, secondo il quale “la proposizione di successive domande di equa riparazione per violazione del termine ragionevole di durata di un medesimo processo, in conseguenza del protrarsi della violazione anche nel periodo successivo a quello accertato con una prima decisione, costituisce esercizio di una specifica facoltà prevista dalla legge ed è funzionale al perseguimento delle sue finalità, postulando essa il riconoscimento dell’equo indennizzo in relazione alla durata dell’intero giudizio, dall’introduzione sino alla pronuncia definitiva”.

Ed inoltre – aggiungono gli Ermellini -, trattandosi comunque di una richiesta relativa ad un processo che resta unitario, la porzione di tempo reputata irragionevole nella sua durata ed oggetto della seconda domanda, non può essere nuovamente decurtata del periodo di tempo ritenuto ragionevole per il grado ove il giudizio a quo prosegua, se di tale durata si è già tenuto conto in occasione della liquidazione del primo indennizzo.

La decisione impugnata è stata così cassata con l’enunciazione del seguente principio di diritto, al quale il giudice del rinvio dovrà attenersi: Nel caso di proposizione di successive domande di equa riparazione per violazione del termine ragionevole di durata di un medesimo processo, in conseguenza del protrarsi della violazione anche nel periodo successivo a quello accertato con una prima decisione, la determinazione del lasso temporale per il quale compete l’indennizzo deve tenere conto dell’eventuale periodo di tempo ritenuto ragionevole che sia stato già decurtato dalla durata complessiva del giudizio in occasione della precedente liquidazione dell’indennizzo.

La redazione giuridica

 

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