Accertato il nesso causale tra l’isterectomia totale e le patologie manifestatesi a carico dell’uretere di sinistra e dell’apparato nervoso, con specifico riferimento al nervo femorale omolaterale (Corte d’Appello di Messina, sentenza n. 521 del 10 dicembre 2020)

La paziente cita a giudizio l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Messina e il Primario del reparto ginecologia chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti a causa dell’intervento chirurgico al quale si era sottoposta il 3 luglio 2003. In particolare, alla donna durante il ricovero presso il Dipartimento di Scienze Gineclogiche – Ostetriche  veniva diagnosticata, a seguito di visita ginecologica, una “metrorragia in paziente con utero fibromatoso” ed in conseguenza di tale diagnosi venivano disposti alcuni esami ematochimici. Ulteriori accertamenti venivano eseguiti il 26 giugno 2003 nel corso di una isteroscopia diagnostica e di una ecografia ginecologica. In data 3 luglio 2003 il Primario sottoponeva la donna ad un intervento chirurgico di “isterectomia totale per fibromastosi uterina”; durante tale intervento si verificava una cospicua perdita ematica.

Concluso l’intervento emergeva, come da consulenze tecniche effettuate dai periti nominati nella fase dibattimentale del procedimento penale, che il Primario non eseguiva prima dell’intervento la “cistoscopia con cannulazione degli ureteri”, pratica che avrebbe permesso di evitare il verificarsi della complicanza intraoperatoria, poi avveratasi, e cioè il blocco delle vie urinarie.

Dalla TAC eseguita successivamente risultava la “lacerazione del parenchima renale in corrispondenza delle pelvi, con conseguente stop completo nell’uretere pelvico”.

A distanza di 5 giorni dall’intervento, la donna veniva nuovamente sottoposta ad un intervento chirurgico in anestesia totale, eseguito sempre dal Primario, poiché alcuni punti della precedente sutura si erano sganciati e la stessa sutura non era stata completata.

Il 20 luglio la donna accusava una temperatura corporea di 41° contattava il personale medico, che le suggeriva, previa somministrazione di tachipirina 1000, l’immediato ricovero. Ricoverata presso il Reparto di Ginecologia le veniva diagnosticata un’ “oligo -anuria” ed un’ “iperpiressia” eposta quindi sotto osservazione presso  il reparto di Urologia.

Sottoposta a TAC la donna presentava un’ “uretroidronefrosi sinistra di grado elevato, rinoma retroperitoneale e pleurite essudativa omolaterale”, nonché, a seguito di esame nefrostomografico sinistro, “un’effrazione della via escretrice alta, raccolta liquida in regione perirenale e stenosi completa dell’uretere pelvico”; veniva altresì riscontrato “una paresi dell’arto inferiore con riflesso rotuleo assente, ipoestesie a livello L3.”

Il 20 agosto 2003 veniva refertata, a seguito di esame di elettromiografia, una lesione parziale di marcata entità del nervo femorale sinistro.

Il successivo mese di settembre la donna veniva nuovamente ricoverata per altro intervento chirurgico durante il quale emergeva che l’uretere pelvico intraoperatoriamente appariva completamente avvolto da tessuto fibrotico organizzato.

Il Tribunale di Messina accoglie le domande della donna e condanna l’Azienda Ospedaliera e il Primario, in solido con le rispettive Compagnie d’Assicurazione al risarcimento dei danni lamentati.

L’Assicurazione propone appello lamentando la errata sussistenza dell’operatività delle polizze a garanzia della Struttura e del Medico essendoci inoperatività temporale per la clausola claims made.

Il Tribunale di primo grado avrebbe errato nel riconoscere la denuncia cautelativa del 29 dicembre 2004 quale atto idoneo a fare scattare l’operatività della polizza a regime claims made.

La Corte d’Appello rileva la fondatezza  delle censure sull’operatività delle polizze a claims made dell’Azienda e del Medico.

L’Azienda Ospedaliera svolge appello incidentale contro i capi della sentenza impugnata che statuiscono: “accoglie la domanda, e per l’effetto, condanna in solido al pagamento, a favore dell’attrice, dell’importo di euro 73.923,00, oltre interessi legali sulla somma, devalutata alla data dell’intervento chirurgico (3 luglio 2003) e via via rivalutata anno per anno, a titolo di risarcimento del danno biologico; condanna i convenuti al pagamento, a favore dell’attrice, delle spese processuali, liquidate in euro 471,89 per spese ed euro 8.500,00 per compensi ex D.M. n. 55/2014 (euro 1.300,00 fase studio, euro 1.000,00 fase introduttiva, euro 4000 fase istruttoria, euro 2.200,00 fase decisoria), oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come  per legge”.

Secondo l’Azienda Ospedaliera Universitaria, il Tribunale ha errato nel ritenere responsabili la stessa Struttura sanitaria ed il Medico chirurgo, non avendo, in  particolare, dato prova parte attrice circa le eventuali condotte che avrebbero dato luogo alla responsabilità del Medico e dell’Azienda, nonché del nesso di causalità tra tali condotte ed i danni lamentati.

La Corte ritiene la censura infondata.

E’ onere del paziente che agisce in giudizio fornire la prova della fonte negoziale del suo diritto, limitandosi tuttavia alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto, è gravato dall’onere della prova del fatto estintivo costituito dall’avvenuto adempimento.

Rimane a carico della Struttura e del Medico la prova che la prestazione sia stata eseguita in modo diligente e che gli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile.

Dalla CTU svolta nel primo grado di giudizio emerge chiaramente che le diverse patologie manifestatesi in capo alla paziente successivamente all’intervento chirurgico effettuato il 3/07/2003, siano dipese proprio dalla condotta imperita e negligente del Primario.

Il Consulente ha finanche precisato che “La negligenza del medico, in particolare, si evince anche dal mancato completamento della sutura nella paziente nel corso dell’intervento di isterectomia totale per fibromatosi uterina”.

Evidente, dunque, sia la negligenza quanto l’imperizia del Medico nell’esecuzione dell’intervento chirurgico, e conseguentemente, sia l’Azienda Ospedaliera sia il Medico, avrebbero dovuto dare prova, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1218 c.c., della corretta esecuzione dell’intervento e, che eventualmente, l’inadempimento sia stato determinato da causa a lui non imputabile, elementi questi non provati né dal Medico, né dall’Azienda Ospedaliera Universitaria .

Ad ogni modo, evidenzia la Corte, il Giudice di prime cure ha correttamente statuito sul punto: “In esito all’attenta analisi dell’elaborato del c.t.u. emerge chiaramente, come dallo stesso evidenziato, il nesso causale tra l’esecuzione dell’intervento di laparoisterectomia, effettuato il 3 luglio 2003, e le patologie manifestatesi a carico dell’apparato urinario ed in particolare dell’uretere di sinistra e dell’apparato nervoso, con specifico riferimento al nervo femorale omolaterale.”

Difatti, è dirimente quanto affermato sul punto dal CTU “l’unicità della contemporanea presenza delle due lesioni, dovendosi ritenere, pertanto, che nel corso dell’intervento non siano state costantemente osservate le norme che regolano la buona pratica medica”.

Inoltre il Consulente ha accertato le modalità generiche di comunicazione e raccolta del consenso informato, in cui non risulta menzione dei possibili rischi riguardanti lesioni alla funzionalità di organi e apparati al di fuori di quello genitale, nonché l’omessa registrazione degli orari di inizio e fine dell’intervento.

Per tali motivi viene ritenuto infondato l’appello incidentale proposto dall’Azienda Ospedaliera Universitaria con conseguente conferma della sentenza n. 389/2019 nella parte in cu i ha affermato la responsabilità solidale dell’Azienda Ospedaliera e del Medico.

L’appello incidentale della paziente inerente il mancato riconoscimento del danno morale viene considerato fondato.

La Corte osserva che in prime cure è stato motivato che “il danno morale non può presumersi in presenza di lesioni personali, dovendo costituire oggetto di rigorosa prova. Nel caso di specie si ritengono tuttavia sussistenti i presupposti per la liquidazione, in  via equitativa, a favore di parte attrice della somma di euro 1.200,00 a titolo di ulteriore danno biologico, con riferimento allo stato depressivo diagnosticatole nel 2003 in esito alla consulenza psichiatrica, versata in atti, non essendo stata allegata in atti ulteriore documentazione dalla quale evincere la durata di tale stato depressivo e l’eventuale ripresa della paziente”.

Nell’attualità il danno morale –che è inerente le sofferenze derivanti dall’evento lesivo subito-, viene calcolato all’interno delle Tabelle di Milano.

Tuttavia, tale quantificazione non può dirsi tassativa in quanto il Giudice può effettuare una personalizzazione (in aumento) alla luce della gravità della lesione e delle ripercussioni che la stessa ha generato al danneggiato.

La paziente indubbiamente ha subito sofferenze non solo fisiche, ma anche a livello psicologico, proprio per tale ragione è stata applicata in prime cure una personalizzazione quantificata in euro 1.200,00.

Tuttavia, osserva la Corte, tale importo non è stato correttamente quantificato in considerazione del grave stato depressivo insorto in capo alla danneggiata.

Per tali ragioni la Corte procede alla personalizzazione delle quote delle tabelle di Milano, in particolare, per ciascun giorno di invalidità temporanea verrà corrisposta una somma pari ad euro 120,00, nel dettaglio, per il periodo di invalidità assoluta deve essere liquidato alla danneggiata un risarcimento pari ad euro 6.600,00 (120,00 x 55 gg), mentre, per il periodo di invalidità parziale al 50 % una somma pari ad euro 15.780,00 (60,00 x 263 gg).

Confermato l’importo spettante alla danneggiata in ordine ai postumi permanenti stimati nella misura del 18 %, pari ad euro 54.446,00, e l’ulteriore somma pari ad euro 1.200,00 riconosciuta dal Giudice di primo grado quale ulteriore danno biologico.

Avv. Emanuela Foligno

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