Se il risultato clinico atteso viene solo parzialmente raggiunto per l’insorgenza di una conseguenza prevedibile, ma non prevenibile dell’intervento, non sorge responsabilità (Tribunale di Alessandria, sentenza n. 751 del 9 dicembre 2020)

La paziente, previo esperimento del tentativo obbligatorio di Mediazione, chiama a giudizio il Policlinico di Monza per sentirlo condannare al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti dall’errato intervento correttivo di alluce valgo, quantificati nella somma complessiva di euro 28.760,81.

In particolare la paziente deduce:

  • di  essersi recata, nel mese di dicembre 2011, presso la Casa di Cura di Alessandria (fusa poi nel 2013 per incorporazione nel Policlinico di Monza)  per una visita ortopedica, essendo affetta da alluce valgo al piede sinistro;
  • di essere stata visitata, in data 3.2.2012 ove le veniva consigliato un intervento correttivo di alluce valgo del piede sinistro e delle dita a martello 2,3,4, programmato per il 6.3.2012;
  • che il giorno dell’intervento alla paziente non veniva fornita alcuna precisa informazione sul tipo di intervento al quale sarebbe stata sottoposta e ai diversi altri tipi d’intervento, né una descrizione precisa delle possibili complicanze per il tipo di intervento proposto;
  • che immediatamente dopo l’intervento iniziava ad accusare un dolore lancinante a livello delle dita operate, mai lamentato in precedenza, dolore che persisteva nonostante le sedute di fisioterapia/magnetoterapia indicate dai sanitari e l’uso di scarpe ortopediche per correggere il malcarico;
  • che nel luglio del 2013, la paziente si sottoponeva a visita medico legale che evidenziava un evidente insuccesso dell’intervento eseguito ed accertava un danno biologico permanente dato da un accorciamento eccessivo del piede sinistro, valutato nell’ordine nell’8%, con un danno temporaneo di giorni 2 al 100%, giorni 40 al 75%, giorni 60 al 50% e giorni 60 al 25%.

Si costituisce in giudizio il Policlinico, preliminarmente chiedendo l’autorizzazione alla chiamata in causa dell’Ortopedico che eseguiva l’intervento, ed eccependo che clinicamente la paziente era affetta da un importante valgismo dell’alluce, con deformità della metatarso -falangea e vistosa borsite reattiva da calzatura, e grave griffe del secondo, terzo e quarto dito: il cedimento dell’arco plantare anteriore e l’alterazione della forma metatarsale aveva determinato un doloroso iper-appoggio sulle teste metatarsali centrali, confermata anche dall’ipercheratosi e dai tilomi plantari.

Eccepisce, inoltre, la corretta informativa fornita alla paziente riguardo il complesso intervento chirurgico cui veniva sottoposta e che dopo la rimozione dei mezzi di sintesi veniva diagnosticata alla stessa una sindrome neuro-algo-distrofica come complicanza non infrequente dopo traumi o interventi sull’arto inferiore.

La causa viene istruita attraverso CTU Medico-legale.

Il Consulente non ha rilevato alcun elemento di malpractice riconducibile a negligenza, imprudenza o imperizia nell’operato dell’Ortopedico, in particolare nell’elaborato si legge: “Fra le varie tecniche di intervento chirurgico veniva proposta la tecnica di Bosch, che consiste in una piccola incisione esterna, la sezione dell’osso con una fresa, il riallineamento della testa metatarsale e la sua stabilizzazione con un chiodo; è una tecnica semplice, veloce ed effettuabile anche in anestesia locale. Limiti di questa tecnica: possibilità di rigidità, la perdita della correzione superfici lisce contrapposte, infezione, dolore post operatorio. Alternative a tale tecnica è quella di AUSTIN -CHEVRON -Mc BRIDE, che richiede una osteotomia più complicata, tempi di scarico più lunghi, stabilizzazione con viti o placche, da rimuovere in un secondo tempo chirurgico. Esistono anche altre tecniche, che il chirurgo propone a seconda del paziente. L’obiettivo di tutte le pratiche chirurgiche hanno la finalità di riallineare l’alluce ed eliminare le deformità delle altre dita, consentendo una deambulazione più corretta, con un migliore appoggio, pur considerando il fatto che la signora presentava costituzionalmente un piede cavo bilaterale”.

“L’intervento secondo Bosch, secondo letteratura, ha un indice di risultati buono/ottimo dell’80%, soddisfacenti del 15% e negativi del 5% …(omissis )… L’intervento diagnostico e terapeutico praticato in data 06.03.2012, sulla parte attrice risulta conseguenza non desiderata dell’intervento chirurgico, rientrando in quella pur bassa percentuale di risultati non buoni. Si può affermare che il problema sia stato risolto parzialmente:

  • il riallineamento delle dita è stato ottenuto e mantenuto nel tempo;
  • il dolore era uno dei motivi che hanno indotto la parte attrice a rivolgersi ai Sanitari;
  • la rigidità del 1° dito è una conseguenza prevedibile, ma non prevenibile di questo tipo di trattamenti chirurgici” .

Viene accertato, dunque, che la condotta del Medico è priva di censure sebbene il risultato clinico atteso sia stato solo parzialmente raggiunto per l’insorgenza di una conseguenza prevedibile, ma non prevenibile dell’intervento.

Inoltre il C.T.U. ha riscontrato “rigidità, impossibilità di aprire le dita a ventaglio, dolore al carico che ha incrementato il sovraccarico centrale delle teste metatarsali ” precisando che “la signora presentava un piede cavo bilaterale, che già di per sé causa un sovraccarico anteriore”.

Ed ancora, il C.T.U. non ha escluso che l’eccessiva rigidità possa essere correlata “all’insorgenza di una sindrome algodistrofica “, ovvero una sindrome dolorosa scatenata nel 50% -75% dei casi da un trauma o da un intervento chirurgico e dall’immobilizzazione conseguente, così confermando le allegazioni della Struttura sull ‘insorgenza proprio della sindrome neuro – algo -distrofica di Sudeck nel post -operatorio, quale complicanza non infrequente dopo traumi e interventi.”

Non trovano riscontro le allegazioni della paziente sull’eccesivo accorciamento del piede con l’intervento correttivo di alluce valgo e sulla sussistenza di una invalidità permanente derivante dall’operazione.

La danneggiata non ha contestato specificatamente le conclusioni del CTU, essendosi limitata a richiamare le proprie difese.

Conseguentemente il Tribunale ritiene che il peggioramento delle condizioni lamentato dalla donna “può dirsi correlato ad una condizione soggettiva – pregressa patologia – oppure ad una reazione soggettiva – sindrome algodistrofica – entrambe del tutto estranee alla condotta del medico, in quanto conseguenze prevedibili ma non prevenibili dell’intervento eseguito, e pertanto integranti gli estremi della “causa non imputabile” di cui all’art. 1218 c.c.”

Riguardo l’inadeguato consenso informato lamentato il Tribunale evidenzia che dal modulo sottoscritto la paziente dichiarava di aver ricevuto in maniera particolareggiata le opportune informazioni sulla tipologia dell’intervento chirurgico che avrebbe subito, sugli obiettivi che si volevano perseguire, sulle probabilità di riuscita e sulle possibili conseguenze e complicanze dell’intervento.

Inoltre, essendo l’atto terapeutico in questione correttamente eseguito la paziente doveva dimostrare, anche tramite presunzioni, che qualora compiutamente informata non avrebbe eseguito l’intervento.

Tale prova non è stata fornita, né allegata, rendendo così irrilevante ogni considerazione sulla validità ed esaustività del consenso informato prodotto in giudizio, non essendoci alcun nesso causale tra l’inadempimento dell’obbligo di informazione e il danno alla salute lamentato.

Ad ogni modo, anche discorrendo di mera lesione del diritto all’autodeterminazione, la paziente non ha indicato le diverse opzioni terapeutiche che la mancata prestazione del consenso informato le avrebbe impedito di scegliere.

Per tali ragioni la domanda della donna viene integralmente rigettata con condanna alle spese legali a favore del Policlinico e alle spese di CTU.

Avv. Emanuela Foligno

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