Un uomo diabetico lamenta inopportuno trattamento chirurgico di asportazione di rilievo calloso del IV dito del piede destro da cui sorgeva una infezione che rendeva necessaria l’amputazione
Vengono chiamati a giudizio il Chirurgo e il Medico di guardia al Pronto Soccorso. La Corte d’Appello di Lecce, con sentenza n.853/2018 in parziale riforma della decisione di primo grado, ha riconosciuto in capo al Chirurgo la responsabilità per i danni subiti dal paziente e derivanti dalle conseguenze dell’intervento di asportazione di un rilievo calloso del piede destro mediante laser.
A seguito dell’intervento si verificava una infezione che, estendendosi progressivamente, rendeva necessaria dapprima la amputazione del IV e V dito del piede, successivamente la amputazione del piede destro.
La Corte d’Appello accertava errori commissivi ed omissivi nella condotta del Chirurgo che ometteva di eseguire i rilievi strumentali preliminari volti ad accertare la effettiva insufficienza di circolo presente nel piede.
In conseguenza del trauma chirurgico si aggravava la condizione di sofferenza circolatoria dell’arto che poi evolveva in lesione tissutale ischemica e infezione.
Tale situazione avrebbe richiesto, in luogo delle terapie domiciliari e delle automedicazioni, l’immediato indirizzamento del paziente presso una Struttura attrezzata per la chirurgia vascolare, dove un tempestivo intervento di rivascolarizzazione avrebbe molto probabilmente limitato gli esiti demolitivi.
Escludeva, invece, la Corte d’Appello una incidenza causale della condotta del Medico di guardia al Pronto Soccorso in quanto la diagnosi formulata dallo stesso era esente da errori, e il rinvio del danneggiato ad esame specialistico il giorno successivo non aveva nessun rilievo causale concorrente nella gravità dello stato del paziente, già compromesso.
In conclusione, con la decisione d’Appello viene quantificata una invalidità biologica permanente nella misura del 30% e viene liquidato il solo danno differenziale in considerazione dello stato patologico pregresso del paziente. Respinti, invece, il danno esistenziale e il danno patrimoniale emergente.
Il Chirurgo impugna la decisione in Cassazione (sez. III Civile, sentenza n. 24471 del 4 novembre 2020), ove resistono l’ASL di Lecce e il danneggiato che propone anche ricorso incidentale.
Il Chirurgo lamenta che la Corte territoriale avrebbe pronunciato oltre il tema decidendum che limitava le imputazioni di responsabilità alla violazione dell’obbligo di acquisizione del consenso informato e alla imperita esecuzione dell’intervento chirurgico.
Esula, pertanto, dalle domande del danneggiato l’omissione diagnostica della patologia diabetica del paziente che veniva introdotta solo dalla CTU Medico-legale.
La doglianza viene considerata infondata.
Il fatto costitutivo del diritto al risarcimento del danno azionato dal paziente consiste nella difformità tra il risultato che si attendeva dalla corretta prestazione chirurgica e quello in concreto verificatosi.
Trattandosi, quindi, di responsabilità contrattuale l’allegazione del danneggiato non deve specificare anche il modo in cui la prestazione si palesi errata.
Avendo dedotto il danneggiato il deficit informativo circa le possibili evoluzioni della patologia e le eventuali conseguenze pregiudizievoli correlate a determinate scelte terapeutiche, ed il riferimento alla errata esecuzione della prestazione professionale dell’intervento chirurgico, non può ritenersi circoscritto l’inadempimento a quei soli aspetti.
Oltretutto, le difese svolte dal Chirurgo nei giudizi di merito confermano che lo stesso era a conoscenza che il danneggiato fosse diabetico.
Pacifico, pertanto, che la patologia diabetica del paziente era portata fin dall’inizio a conoscenza del Chirurgo, ed infatti ha costituito, fin dal primo grado di giudizio, elemento di valutazione ai fini dell’accertamento della responsabilità del professionista, come emerge chiaramente dalla CTU svolta in primo grado laddove viene rilevato “La diagnosi di piede diabetico….era facilmente prospettabile e ben alla portata del Chirurgo se solo avesse prestato maggiore attenzione all’anamnesi…..Il Chirurgo era nelle condizioni di porre corretta diagnosi di piede diabetico quando il paziente giunse alla sua osservazione”.
Con il secondo motivo il Chirurgo sostiene che la Corte non avrebbe considerato che dagli accertamenti peritali e dalle prove per interrogatorio formale e per testi assunte nel corso del giudizio, emergeva una corretta condotta terapeutica che, erroneamente, si assumeva invece omessa, non essendo intervenuto alcun aggravamento della patologia locale tra l’intervento chirurgico mediante laser e la indicazione delle corrette terapie.
La doglianza è infondata. Difatti dalle conclusioni della seconda CTU svolta in appello -allineate con quelle di primo grado- emerge che: “il professionista nonostante il rilievo ematochimico di glicemia elevata emerso dagli esami dal medesimo richiesti ometteva di eseguire ulteriori accertamenti clinici diretti alla ricerca di segni di vasculopatia, imposti dalla condizione di paziente diabetico”……(..).. “il ritardo intercorso dopo la esecuzione dell’intervento chirurgico e la successiva visita con la quale veniva prescritta cura domiciliare e medicazioni autogestite, fino alla visita eseguita dallo specialista in chirurgia vascolare – che aveva, invece, rilevato la estensione della infezione al IV raggio metatarsale-, avrebbe compromesso un efficace tempestivo intervento di rivascolarizzazione, con elevata probabilità di impedire gli esiti demolitivi della perdita del IV dito e del IV raggio del piede destro.”
Infondata, egualmente, la tesi sostenuta dal Chirurgo secondo cui lo stesso avrebbe consigliato al paziente di recarsi presso una Struttura specialistica per il trattamento iperbarico prima che l’infezione fosse estesa al IV metatarso.
Pur volendo considerare tale tesi veritiera, afferma il Collegio, non è comunque dirimente.
Come correttamente evidenziato dalla Corte d’Appello la contestazione mossa non si esaurisce nell’omissione di corretta indicazione terapeutica post- chirurgica, ma riguarda anche la precedente scelta di praticare l’intervento in paziente diabetico con flogosi in atto sulla ulcerazione presente sul IV dito del piede.
La Corte d’Appello – che ha condiviso le conclusioni raggiunte dal CTU – ha ascritto al Medico l’errore professionale consistito: 1- nel mancato completamento delle indagini diagnostiche ante intervento chirurgico (elemento di colpa omissiva rilevato anche dal CTU nominato in primo grado); 2- nella omessa prescrizione di terapia antibiotica locale preventiva; 3- nella incauta anticipazione della esecuzione dell’intervento chirurgico con laser di rimozione dei tessuti necrotici, con infezione in atto.
Il terzo motivo di ricorso riguarda l’omissione da parte del CTU di risposta alle osservazioni del CTP.
La doglianza è inammissibile poiché finalizzata a una nuova valutazione delle risultanze della CTU.
Ad ogni modo, dalla motivazione della sentenza impugnata emerge che il CTU aveva diffusamente risposto alle osservazioni formulate dal CTP, venendo, quindi, meno il vizio di violazione di norma processuale denunciato.
La decisione della Corte territoriale è conforme al principio di diritto secondo cui “ in tema di responsabilità civile, qualora la produzione di un evento dannoso possa apparire riconducibile, sotto il profilo eziologico, alla concomitanza della condotta del sanitario e del fattore naturale rappresentato dalla pregressa situazione patologica del danneggiato (la quale non sia legata all’anzidetta condotta da un nesso di dipendenza causale), il Giudice deve accertare, sul piano della causalità materiale (rettamente intesa come relazione tra la condotta e l’evento di danno, alla stregua di quanto disposto dall’art. 1227 c.c., comma 1), l’efficienza eziologica della condotta rispetto all’evento in applicazione della regola di cui all’art. 41 c.p. (a mente della quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l’azione e l’omissione e l’evento), così da ascrivere l’evento di danno interamente all’autore della condotta illecita, per poi procedere, eventualmente anche con criteri equitativi, alla valutazione della diversa efficienza delle varie concause sul piano della causalità giuridica (rettamente intesa come relazione tra l’evento di danno e le singole conseguenze dannose risarcibili all’esito prodottesi) onde ascrivere all’autore della condotta, responsabile “tout court” sul piano della causalità materiale, un obbligo risarcitorio che non comprenda anche le conseguenze dannose non riconducibili eziologicamente all’evento di danno, bensì determinate dal fortuito, come tale da reputarsi la pregressa situazione patologica del danneggiato che, a sua volta, non sia eziologicamente riconducibile a negligenza, imprudenza ed imperizia del sanitario”.
Inoltre, il CTU di secondo grado ha valutato attentamente la obiezione formulata dal CTP relativa alla “corrispondente evoluzione patologica, subita dal paziente e che aveva portato all’amputazione anche dell’avampiede controlaterale (sinistro), escludendo tuttavia che da patologie afferenti diversi settori anatomici, possa trarsi una valida conclusione sulla identità ed assoluta equivalenza del processo causale, in base alla pura analogia della patologia, occorrendo considerare la diversa conformazione e risposta arteriosa dei due distretti al trattamento terapeutico, e la diversa incidenza sul decorso della malattia che potevano venire ad assumere i fattori esogeni (tra cui anche le condotte diagnostiche e terapeutiche, secondo che praticate in modo opportuno od inopportuno, corretto od errato, tempestivo o tardivo)”.
In conclusione la Suprema Corte rigetta il ricorso principale del Chirurgo e quello incidentale del paziente, confermando la sentenza d’appello.
Avv. Emanuela Foligno
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